La novità rivoluzionaria e le attese di speranza delle società occidentali

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di Ugo Scuro

L’elezione di Obama, giustamente celebrata nel mondo occidentale per il carattere di novità rivoluzionaria e per l’almeno apparente definitivo superamento di steccati intersociali, è stata ritenuta in Italia, a torto o ragione, una vittoria della democrazia e del ceto meno abbiente, destinata a produrre effetti riflessi anche nei paesi contigui agli Stati Uniti per tradizione, cultura e alleanza politica. L’istanza politica e sociale è del tutto giustificata e comprensibile, perché le attese di speranza delle società occidentali, scosse dalla portata della crisi che si abbattuta sull’economia, sono sentite e diffuse. Meno evidente è se l’elezione di Obama possa rispondere a tali attese sia negli Stati Uniti, sia nei paesi contigui, tra cui l’Italia.

Un dato significativo dell’elezione è costituito dal voto del ceto medio, la borghesia, tradizionalmente orientato a votare per il partito repubblicano, che questa volta ha preferito il candidato democratico, tra l’altro molto caratterizzato. E’ soltanto una rivoluzione culturale oppure la scelta esprime un senso di disperazione? Quando la partita va male, bisogna sparigliare le carte. L’epicentro della crisi è negli Stati Uniti, che da vari anni lanciano segnali di debolezza confermati dal notevole apprezzamento dell’euro sul dollaro. Le cause della crisi sono tuttora occulte, anche se gli osservatori più accorti rilevano la forte componente monetaria che non può essere sfuggita alle banche centrali. Segnalo con l’occasione l’articolo di Marco Vitale dal titolo “Tutti i fondamentalismi da battere” pubblicato dal Sole 24 Ore, che espressamente denuncia tale componente, corroborata dalla volatilità di strumenti finanziari incoraggiati da normative e prassi di dubbia legittimità. Dietro c’è la politica, con la sua forza, con scelte precise e modalità operative che lasciano poco spazio al caso. L’establishment economico e politico che non si esaurisce nella Presidenza e nel Congresso vorrà o potrà aderire alle istanze della borghesia americana, posto, tra l’altro, che in tutto il mondo occidentale i principi dell’economia sono in corso di ripensamento? Una modesta digressione sul tema è necessaria per l’apprezzamento del tema.

Molto sinteticamente, per esigenze di spazio, l’economia di un paese o è imperialista o è virtuosa o è servile. L’economia degli Stati Uniti è imperialista, alla stregua di pochi altri paesi del mondo, tra i quali si sta segnalando per la particolare vivacità la Cina, che contendono il primato. Gli Stati Uniti dovranno pertanto dispiegare mezzi (economici) a difesa della loro connotazione caratteristica, destinando risorse ai relativi strumenti, distraendole dai consumi, avvertiti come segnale visibile, immediato del benessere. Il mantenimento del prestigio e del primato statunitense sarà opera complessa e molto difficile e, malgrado le attese, potrà non investire le società contigue. L’economia italiana è ovviamente molto diversa e soffre delle tante carenze di cui ho scritto più volte. Potrebbe proporre una specificità “imperialista” incentivando le esportazioni, ma, allo stato, la bilancia relativa non conforta l’attesa. L’economia italiana sembra pertanto destinata a essere virtuosa o servile. Per le sue caratteristiche la società italiana può essere virtuosa, svilupparsi e contendere posizioni di mercato anche alle economie imperialiste, purchè il governo del paese assicuri gli assetti interni e consenta alla gente di coltivare legittime aspettative per sé e per le generazioni future. Lo snodo è politico. Se la politica italiana e il governo in carica possano consentire tali attese è materia incerta ma in grande evoluzione. I protagonisti dovrebbero dialogare effettivamente con i cittadini, non tanto o soltanto tra di loro, tra l’altro con le modeste modalità ben note, consentendo di apprezzare la rilevanza e l’utilità dell’opera di governo in modo trasparente, puntuale e immediato. Il contegno politico dell’opposizione non è tuttavia questione di minor rilievo e anche alla società civile è richiesto l’ impegno proficuo del quale ho più volte scritto e sul quale tornerò presto.

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