Prostituzione: ddl Carfagna

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di Enrico Gagliardi

Si dice sia il mestiere più vecchio del mondo: difficile dirlo, certo è senza dubbio tra le attività che, volente o nolente, affondano le radici nella storia dell’uomo.
Nei giorni passati Mara Carfagna ha dichiarato guerra al fenomeno facendo approvare dal Consiglio dei Ministri un disegno di legge in tema di contrasto alla prostituzione definita come un vero e proprio allarme sociale.
La misura, pur essendo in fase embrionale (deve ancora affrontare un iter parlamentare tutt’altro che scontato) presenta da subito elementi di discussione: prostituirsi continuerà a non essere reato ma sarà vietato farlo per strada; chi trasgredisce, lucciole e clienti, potrà essere punito anche con l’arresto. In sostanza dunque vengono introdotte sanzioni sia per le prostitute sia per chi a queste “si accompagna”: arresto da 5 a 15 giorni e un’ammenda da 200 a 3000 euro.
Il disegno di legge insomma si presenta ricco di novità rispetto alla legislazione vigente “novando” una disciplina praticamente mai toccata dai tempi della legge Merlin. Peccato però che le novità siano foriere di potenziali problemi e soprattutto non idonee a risolvere la piaga dello sfruttamento della prostituzione.

È senza dubbio vero che nel nostro paese esistano una serie infinita di donne, soprattutto proveniente dall’est europeo, costrette in schiavitù da delinquenti spregiudicati interessati a lucrare nel mercato del sesso; allo stesso modo però è un dato di fatto anche la presenza di molte donne che scelgono l’esercizio della prostituzione come una libera decisione, guadagnando anche somme discrete proprio da questa attività magari in luoghi chiusi. Il disegno di legge non interviene sul problema ed anzi fornisce un giudizio morale sanzionando non il principio in quanto tale (opzione discutibile ma almeno coerente) ma solo la prostituzione all’aperto ed anche coloro i quali ne usufruiscono.
Una scelta che rievoca il peggiore moralismo bacchettone ed inutile.
I problemi e le contraddizioni più seri però sorgono, come al solito, a livello giuridico: non tanto sotto il piano del sovraffollamento delle carceri che ennesime misure sanzionatorie potrebbero aggravare ulteriormente, quanto e soprattutto sul profilo processuale. In altri termini applicare pedissequamente una legge del genere vorrebbe dire costringere i giudici ad una serie di processi inutili al termine dei quali vi sarà al massimo un’ammenda; è noto come al di sotto dei 3 anni scattino i benefici condizionali e dunque misure alternative al carcere.

Altro grave inconveniente sarà il fattore probatorio: come dimostrare in sede giudiziale la consumazione del delitto? Come dimostrare cioè che il singolo cliente “pizzicato” sta contrattando una prestazione sessuale con una donna? Non è necessario un giurista per palesare la ricaduta in termini di mancata determinatezza e tassatività di questa fattispecie penale.
Singolare poi la mancata sincronia tra i vari Ministri: da una parte Angelino Alfano nelle scorse settimane auspicava l’utilizzo di meccanismi alternativi (vedi braccialetti elettronici et similia) per “sfiatare” gli istituti di pena ed ora Mara Carfagna chiede l’approvazione di un provvedimento che si muove in tutt’altra direzione, almeno nel suo valore “simbolico”.
Ancora una volta dunque in Italia si punta agli annunci roboanti, ad effetto e si tralasciano invece le reali questioni, quelle che interessano realmente i cittadini ovvero i macroproblemi sistemici quali l’intasamento del contenzioso penale e civile piuttosto che le mancate garanzie costituzionali del giusto processo regolato dalla legge.
Qualcuno insomma, consapevolmente o meno, dolosamente o meno, continua ad eludere i veri nodi del paese.

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