RAIMONDO LURAGHI

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E’ mancato a 91 anni nel dicembre 2012 anni Raimondo Luraghi, uno storico che ha onorato l’Università italiana nel mondo. Milanese di origine, è vissuto fin da ragazzo a Torino, frequentando l’Università sotto la guida di Piero Pieri. Si potrebbe definire con Montale, un lombardo- piemontese che preso la vita molto sul serio. Luraghi fu partigiano combattente, promosso capitano sul campo e decorato di medaglia d’argento al Valor Militare in seguito ad una ferita riportata in combattimento. Ufficiale del Regio Esercito, combattè con i Garibaldini.

Poi la strada seguita da Luraghi lo condusse verso altri interessi e ideali decisamente liberal-democratici fondati sulla distinzione netta tra politica e storiografia. Infatti non è stato uno studioso schierato. Tanto per citare un esempio, partigiano nelle «Garibaldi», fu amico di Enrico Martini Mauri, comandante degli Autonomi, sprezzantemente definiti «badogliani».

In un’intervista dichiarò senza ambiguità: «Quando la politica si infiltra nella storiografia è come un’iniezione di cianuro: finisce di ucciderla». Basterebbe questa frase per cogliere il suo valore di storico che si pone senza dubbio al livello dei Venturi, dei Romeo, dei de Felice. Il suo capolavoro è la Storia della guerra civile americana, un’opera che, per dirla con un maestro che Luraghi ha amato molto, Adolfo Omodeo, ci restituisce davvero «il senso della storia». Secondo il grande storico, che ha insegnato all’Università di Genova e ed è stato per tanti anni visiting professor nelle principali università americane e canadesi, la guerra civile americana non può essere vista secondo una visione moralistica che divide sudisti e nordisti tra schiavisti e liberatori, ma va studiata come una vera rivoluzione nazionale.

La figura di Lincoln viene infatti vista come il Cavour o il Bismarck degli Stati Uniti che nascono come nazione proprio da quella guerra terribile per numero di morti e di rovine. Con grande intuizione egli vede in quella guerra l’inizio della guerra moderna con le sue carneficine per l’uso di armi, legate al potenziale industriale americano, che modificherà radicalmente il modo di condurre le guerre, come rivelerà poco dopo la Grande Guerra.

Lo storico che, citando Bismarck, ritiene che le Nazioni sono forgiate «con il ferro e con il sangue», ama richiamarsi spesso a Polibio e a Machiavelli, denunciando il dramma della guerra moderna di cui lui stesso, giovanissimo, fu protagonista tra il ‘40 e il ’45. Una vita spesa per la cultura e per la storia che solo i faziosi non hanno voluto riconoscere, come invece merita. Aveva nel corso degli anni recuperato i valori della cultura liberale ed io non posso dimenticare che in tarda età nel 2011, venne, febbricitante, a presentare un mio libro su Cavour e i rapporti tra Stato e Chiesa di cui scrisse anche una recensione su “Nuova storia contemporanea”.

Quando compì 90 anni a Torino non venne adeguatamente festeggiato come meritava. Un silenzio imbarazzato caratterizzò l’ambiente intellettuale che non gli perdonava di aver lasciato, dopo poco tempo dalla fine della guerra il PCI e l’”Unità”.

Per quella scelta coraggiosa ed isolata Luraghi non fu mai professore di storia a Torino, ma si fermò all’ateneo di Genova. Gli studiati e meschini silenzi accademici contro di lui persino in occasione della morte, si stanno ripetendo in occasione del centenario della nascita e del ventennale della morte di Franco Venturi, storico sommo dell’Illuminismo, già emarginato in vita perché colpevole di non essersi adeguato al’68 .

Tutti gli altri redattori e collaboratori dell’edizione torinese dell’”Unità” fecero una carriera di successo.
Luraghi insegnò per anni nei licei, per riuscire a passare all’insegnamento universitario.
Il suo è stato un magistero di umiltà e di libertà: l’averlo potuto conoscere e frequentare dopo aver letto i suoi libri, è stato un fatto importante per la mia formazione storica, ma, direi, soprattutto morale.

Pier Franco Quaglieni

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