ORSO IN TRENTINO: UN PASSO INDIETRO

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È il 1996. Ormai di orsi bruni sulle Alpi italiane non ce ne sono più. Così, grazie anche ai finanziamenti LIFE dell’Unione Europea, il Parco Naturale Adamello Brenta, la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica decidono di far partire un ambizioso progetto: ripopolare l’habitat delle Alpi trentine grazie all’introduzione di nove esemplari di età compresa fra i 3 e i 6 anni, tre maschi e sei femmine, provenienti dalle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Così, dal 1999 al 2002, dieci esemplari — un’orsa nel frattempo era morta a causa di una slavina— vengono liberati dopo un lungo e attento studio delle aree coinvolte e della reazione della popolazione locale.
Facciamo un salto in avanti nel tempo, e precisamente al 15 agosto 2014. La popolazione di orsi nel Trentino è cresciuta ed è ora di 50 animali. Fra questi, ovviamente, madri e cuccioli. Daniza è una di queste madri: ha due cuccioli e come tutte le orse è estremamente protettiva. Così, quando un cercatore di funghi si avvicina troppo, lo aggredisce ferendolo, peraltro non gravemente. A questo punto si scatena di tutto e di più, anche perché il progetto Life Ursus era già stato al centro di polemiche varie da parte di alcuni che l’orso in Trentino proprio non lo volevano. Prima si parla di abbattere l’orsa, poi di catturarla, grazie anche alla reazione dell’opinione pubblica in favore dell’orsa.
Questi i fatti. Veniamo adesso ad alcune semplici considerazioni.
Primo, l’orso è un animale selvatico e come tale si comporta. Se si decide di introdurlo in un certo ambiente, non si può poi pensare di trattarlo come una sorta di animale da compagnia né tantomeno pensare il territorio in cui è stato introdotto sia una sorta di parco giochi per turisti e campeggiatori. In un territorio dove sono presenti animali selvatici, soprattutto predatori, carnivori e onnivori, ma può valere anche per il cervo o il cinghiale, bisogna stabilire delle regole e imporre delle limitazioni. Agli umani, sia chiaro, non agli animali. Quindi, devono essere imposti dei divieti, segnalati i comportamenti giusti da adottare con appositi segnali e cartelli esplicativi, anche in più lingue. Si deve provvedere alla formazione della popolazione locale e dei turisti: in un territorio del genere non ci si deve avventurare al di fuori di sentieri ben definiti, non si deve campeggiare, non ci si deve recare di notte o con la pioggia, ovvero in condizioni di scarsa visibilità, quando un incontro casuale è possibile anche prendendo tutte le precauzioni del caso.
Secondo: sono stati fatti degli errori. Da parte dell’uomo, non dell’orso. Un errore da parte di chi doveva mettere cartelli e imporre regole; un errore da parte di chi si è avventurato nella foresta e si è nascosto dietro un albero a osservare i cuccioli. Non è certo l’orsa che deve pagare per questi errori e tanto meno i suoi cuccioli. Se un orso vuole davvero aggredirti, ad esempio un maschio che difende il suo territorio, ti fa a pezzi. Daniza ha solo difeso i suoi cuccioli e che non sia una bestia aggressiva lo deduciamo dal fatto che il malcapitato non ha subito alcuna ferita davvero grave. Una vera aggressione avrebbe avuto conseguenze ben diverse.
Quindi, non solo abbattere l’orsa è fuori questione, ma lo deve essere anche catturarla. Un cucciolo d’orsa resta con la madre almeno due anni, a volte anche di più. Questi hanno solo 8 mesi. Certo, il bosco è ricco di cibo e potrebbero anche farcela da soli a sopravvivere durante l’inverno, ma non è solo questione di sopravvivenza. In quei due anni l’orsa insegna loro a cacciare, a gestire i pericoli, oltre a fornire loro affetto e protezione. Già, perché gli animali hanno anch’essi dei sentimenti e strappare ai cuccioli la madre è un atto di insensibilità se non di crudeltà.
Daniza deve essere lasciata in pace, specie dopo che il precedente incontro con l’uomo è andato come è andato. Niente caccia, niente cattura, niente cattività. È l’uomo che deve fare un passo indietro, non l’orso. Se il Parco e la Provincia non lo capiscono, forse non hanno la maturità per poter portare avanti progetti del genere, né ora né in futuro.

Di Dario de Judicibus

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