Obama e i tagli alle tasse dei milionari

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di DOMENICO MACERI

“Il popolo americano non vuole tagliare le tasse dei milionari”. Parla Bernard Sanders, il senatore indipendente dello Stato del Vermont.

Sanders commentava così l’accordo del presidente Barack Obama con la leadership repubblicana che fra l’altro includerebbe l’estensione degli sgravi fiscali approvati dall’ex presidente George Bush. Questi tagli alle tasse di tutti gli americani includono anche quelli con reddito superiore ai 250.000 annui. Come si sa, nella campagna presidenziale di due anni fa Obama aveva promesso di ridurre le tasse a tutti eccetto ai benestanti.
Il suo accordo con i repubblicani di estendere le tasse di Bush a tutti è stato visto come mancanza di mantenere la promessa politica. Obama ha spiegato che nonostante la sua parziale insoddisfazione il piano nella sua totalità migliorerà la situazione economica Paese. L’accordo include anche l’estensione dei benefici ai disoccupati per altri tredici mesi, sgravi fiscali a tutti, incluso classi meno abbienti, una riduzione del due percento alle tasse del Social Security sul reddito dei lavoratori, e una cooperazione con i repubblicani che potrebbe anche essere l’inizio di una politica bipartisan a Washington.

I repubblicani sono usciti soddisfatti dalla Casa Bianca ed hanno lodato lo spirito bipartisan di Obama. Nella loro mente loro già cantavano vittoria per avere dominato il dialogo e costretto Obama a seguire le loro vedute. Sono riusciti infatti a proteggere i diritti dei ricchi mentre qualche giorno prima avevano bloccato un disegno di legge che avrebbe dato 250 dollari ai pensionati.
Subito dopo Obama ha inviato alla Camera il suo vicepresidente Joe Biden per cercare di “vendere” il suo accordo ai democratici. Un compito non facile per Biden anche se essendo stato senatore del Delaware per moltissimi anni riesce a mantenere buoni contatti con i legislatori democratici.
L’ala sinistra del Partito Democratico ha visto l’accordo di Obama come una completa capitolazione ai “ricatti” dei repubblicani. Per ottenere l’estensione dei benefici ai disoccupati Obama ha dovuto assorbire l’amara pillola di includere gli sgravi fiscali ai milionari protetti dal Partito Repubblicano.

Per Obama l’alternativa sarebbe stata più amara dato che le tasse aumenterebbero per tutti alla fine di dicembre. Ciò avrebbe un effetto negativo all’economia dato che in generale si crede che qualsiasi aumento alle tasse in periodi di calo economico ridurrà i posti di lavoro. I soldi extra nelle tasche dei cittadini saranno spesi e genereranno attività economica. L’eccezione però è lo sgravo fiscale ai ricchi i quali con ogni probabilità non spenderanno i benefici economici perché in realtà non ne hanno bisogno.
L’accordo di Obama con i repubblicani però non è ancora un affare fatto dato che deve prima essere approvato alla Camera dove i democratici controllano la maggioranza fino all’inizio di gennaio 2011. Le prime reazioni dei democratici alla Camera ed al Senato sono state negative. Alcuni si sono sentiti traditi dal presidente.

Oltre alle obiezioni sugli sgravi fiscali ai benestanti una preoccupazione si basa sull’effetto al deficit ed il debito nazionale. Il costo totale dell’accordo fra Obama ed i repubblicani si aggira sui 900 miliardi di dollari. Una cifra un po’ più grande dello stimolo di Obama all’economia dell’inizio di quest’anno.
I repubblicani hanno dimenticato tutto sul deficit perché l’estensione degli sgravi fiscali di Bush era ed è di capitale importanza per loro. Silenzio dunque sul deficit, scusa che avevano usato molte volte per bloccare l’agenda legislativa dei democratici.

Alcuni democratici dell’ala sinistra del partito hanno detto che preferiscono non fare nulla e lasciare che le riduzioni delle tasse di Bush scadano per tutti.
Come spesso accade i democratici si sono rivelati poco competenti. Una volta approvata la riduzione delle tasse per le classi medie e basse qualche settimana fa alla Camera, avrebbero potuto farla approvare al Senato mediante la manovra della “reconciliation” che solo richiede una semplice maggioranza invece dei sessanta voti, ossia i due terzi. Come era da aspettarsi il disegno della Camera è stato bloccato al Senato dalla minoranza repubblicana.

Se i democratici bloccheranno l’accordo di Obama e dei repubblicani, il piano sarà ripreso a gennaio quando il Gop prenderà il controllo della Camera. Con ogni probabilità sarà dunque approvato. Le implicazioni politiche di questo accordo suggeriscono che Obama abbia cominciato a remare a destra per soddisfare i desideri degli elettori indipendenti. Obama sa bene che sono questi elettori che eventualmente decideranno se rimarrà alla Casa Bianca per il suo secondo mandato.

Domenico Maceri, PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

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