La vocazione totalitaria degli antifascisti e i due volti del Regime: “istituzionale” e “di strada”

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L’essenza del totalitarismo è racchiusa in una frase di Alain de Benoist: “Il totalitarismo cerca anzitutto di ridurre la diversità umana a vantaggio di un modello unico”. Appreso ciò, comprendiamo perché la natura degli antifascisti è radicalmente totalitaria e di conseguenza intollerante e violenta. È inutile tornare nello specifico sulla questione semantica della parola fascista, finita sulla bocca di tutti e usata talmente a sproposito da aver perso ogni significato, generalmente possiamo affermare che oggi per “fascismo” si intende tutto ciò che mette in discussione il pensiero unico politicamente corretto. I liberali lamentano – a buon diritto – l’intolleranza degli antifascisti, perché questi predicano pace e amore ma agiscono esattamente al contrario, contestando con la violenza in ogni sua forma chi non condivide la loro visione del mondo. Non serve militare nell’estrema sinistra per essere intolleranti, la censura ad esempio è osannata a parole e praticata nei fatti altresì dalla sinistra governativa, anch’essa antifascista in assenza di un reale pericolo fascista. Allora perché quelli che si definiscono antifascisti, che dovrebbero avere a cuore la libertà, il dialogo, la tolleranza, che accusano la destra di ogni angheria, sono gli stessi che contestano con la violenza in ogni sua forma, vogliono non solo delegittimare l’avversario politico ma impedirgli perfino di esprimere le proprie idee?

Negli antifascisti c’è un manicheismo di fondo, essi concepiscono la realtà come una perenne lotta tra due opposti, il bene (antifascismo) e il male (fascismo), da ciò consegue che per ottenere la società buona che desiderano sono disposti ad usare ogni mezzo, anche la violenza fisica contro ciò che loro considerano il male. Data questa premessa è pressoché impossibile qualsiasi forma di dialogo, è un treno che viaggia spedito sui suoi binari, impossibile da smuovere, nemmeno davanti alle palesi contraddizioni che caratterizzano il mondo antifascista. Unicamente per loro – che si sono autoproclamati il bene – il fine giustifica i mezzi, anche se gli stessi mezzi che utilizzano gli antifascisti vengono contestati (impropriamente) agli avversari. La vocazione totalitaria dunque, consiste in questo, voler imporre con ogni mezzo il proprio modello di società, esattamente come i regimi totalitari del secolo passato. Loro lo fanno per il bene di tutta la società, siamo noi stupidi a non comprenderlo. Se non partiamo da questo presupposto ci impelagheremo sempre in constatazioni trite e ritrite come “i veri fascisti sono loro”.

C’è poco da stupirsi quindi se professori universitari di sinistra augurano serenamente la morte a Silvio Berlusconi, se una congolese aggredisce il leader del primo partito italiano con il plauso dell’estrema sinistra e della sinistra presunta moderata che gongola; nessun allarme se Beppe Grillo spinge giù dalle scale un giornalista, se tutto il mondo politico e il culturame di sinistra strumentalizza la morte di un ragazzo di colore per gridare al fascismo. Solo per ricordare alcuni episodi delle ultime settimane. La domanda viene spontanea: se tutto questo accadesse a parti invertite? Se un professore universitario di destra augurasse la morte a Zingaretti? Se un uomo bianco aggredisse fisicamente Cécile Kyenge? Se Salvini spingesse giù dalle scale un giornalista? Tutto il mondo antifascista dai centri sociali alla Boldrini – e perché no, anche la new entry avvezza allo autoscatto ma nel tempo libero esperta storica del fascismo Chiara Ferragni – andrebbe in escandescenza, scoppierebbe il finimondo. Perché succede poco o nulla con le attuali carte in tavola? Da decenni la peggiore sinistra ossessionata dal fascismo ha occupato le cattedre all’università, i banchi della magistratura, hanno in mano le redazioni dei maggiori quotidiani, buona parte della televisione, i vertici dell’Ue, dei social network e la non trascurabile benedizione del Papa. Per questo tutto procede normalmente, il potere appoggia il variegato mondo dell’antifascismo, sia quello istituzionale che censura a norma di legge i non allineati al pensiero unico, sia l’antifascismo militante e violento di strada che non nasconde la sua voglia di annichilire chi non condivide la stessa visione del mondo.

Occorre fare i conti con questo: loro odiano apertamente, hanno la guerra civile nel sangue, non vogliono il dialogo ma schiacciare l’avversario, lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo, si fermeranno solo quando avranno imposto con ogni mezzo il loro modello di società con l’appoggio del sistema (università, magistratura, stampa, televisione, Ue, Vaticano, tutto il mondo dello spettacolo da Netflix a Chiara Ferragni). C’è poco da entusiasmarsi per un cambio di governo se il sistema è sempre lo stesso, perché governo e potere sono due cose completamente diverse: il governo amministra, il potere – il sistema di cui sopra – esercita il vero dominio sulla società. Partiamo da questo, gli antifascisti non cambieranno, ogni richiamo alla moderazione finirà nel vuoto, dalle colonne di determinati giornali si continuerà a scrivere che si deve sparare alla Meloni, perché il loro motto è sempre lo stesso “uccidere un fascista non è reato”. Abbiamo anche un’altra certezza: chi gioca sempre in difesa finisce per perdere. L’antifascismo non va derubricato come semplice fenomeno marginale di una minoranza rumorosa che si risolverà con le elezioni, anzi, con un governo di segno opposto, la violenza antifascista aumenta, è necessaria una seria riflessione su di un fenomeno tanto radicale quanto pericoloso.

Di Umberto Camillo Iacoviello in ATLANTICO QUOTIDIANO QUI

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