Liberali a convegno. Come sempre, a parole hanno ragione. Ma senza i fatti

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di NICO VALERIO

Abbiamo accolto con sorpresa e anche un pizzico d’ironia l’invito all’ennesimo Convegno di liberali della più diversa provenienza, uniti dal comune sentire sullo stato della politica oggi e sulle prospettive per il domani. Nel teatro della politica all’italiana, in cui la parola, anzi la retorica da avvocati, la fa da padrona (in Italia si parla davvero troppo, specialmente scendendo verso il Sud, area elettiva ideale per i politici del nulla), eravamo convinti che si sarebbe trattato d’un Convegno, come tutti gli altri della serie, elegantemente analitico, saggiamente propositivo e comunque stimolante, ma anche vuoto di decisioni concrete e, anzi, sempre in grave, imperdonabile, ritardo con i doveri mai assolti del mondo culturale e politico liberale in questi ultimi 60 anni di vita pubblica ufficialmente “liberal-democratica”.

Forse anche per questi rilievi sottostanti, ben noti ai giornalisti di qualunque tendenza, compresi quelli liberali, il Convegno del 21 luglio scorso, a Roma è stato ignorato dalla stampa e quindi dall’opinione pubblica, complice anche l’estate. Nessuno, che noi si sappia, lo ha commentato. Quindi, in termini comunicativi e razionali è come se non fosse mai avvenuto. Clandestino, “giustamente”, per un doppio motivo: perché liberale (e perciò, nell’immaginario collettivo dei giornalisti – viste le esperienze passate – non fattivo, quindi inutile) e poi perché estivo. Laddove la seconda argomentazione faceva da pietosa copertura della prima.

Anche questo sito ha tardato a pubblicarlo, tanto che ci siamo consultati di nuovo con l’autore, che a suo tempo avevamo pregato di seguire il Convegno, sull’opportunità di pubblicarlo o no due mesi dopo. E lo stesso autore, per la verità, era incerto o perplesso.
Ma il ritardo non era dovuto certo a disinteresse, semmai a troppo interesse. Perché ne volevamo sapere di più. Ma questo di più da partecipanti e proponenti non è stato possibile conoscere. Anche perché vizio tipico del liberali, specialmente anziani, è l’assenza d’una comunicazione efficace, di pubbliche relazioni, insomma del far sapere agli altri con abbondanza di particolari, prima, durante e dopo i fatti. E tuttavia, riteniamo che commentare anche quell’effimero, clandestino, Convegno, abbia importanza, visto l’attuale fermento del mondo politico e viste anche alcune previsioni e tendenze manifestate al Convegno poi puntualmente verificatesi, come nota oggi l’autore in una nota che abbiamo aggiunto in coda al suo commento.

“Dar voce politica ai Liberali la vera chiave per le riforme”, era il tema del Convegno dei liberali indipendenti tenutosi il 21 luglio a Roma, nella Sala delle Colonne della Camera dei Deputati. Un bel fulmine a ciel sereno in piena estate.

In apertura dei lavori intervento di presentazione di Pietro Paganini, del nostro Coordinamento per l’unificazione dei liberali. Un giovane-immagine al tavolo della Presidenza, tra tanti settantenni e sessantenni, porta in sala un po’ di speranza.

Il programma prevedeva la sessione “Un vuoto da riempire”, con interventi di Stefano de Luca (segr. PLI), Roberto Einaudi (pres. Fondazione Einaudi) e Raffaello Morelli (pres. Fed. Liberali e membro del nostro Comitato). Nella sessione “Per un ricambio della classe dirigente” erano in programma interventi di Luca Bolognini, Nicoletta Casiraghi, Edoardo Croci, Vincenzo Olita, Gianfranco Passalacqua, Enrico Saponaro, Massimo Teodori, Fabiana Tenerelli. Sotto il titolo “Irrobustire nella Costituzione i principi di libertà” si leggevano i nomi di Luigi Compagna (sen. PDL), Sandro Gozi (dep. PD), Paolo Guzzanti (dep. PLI), Andrea Marcucci (sen. PD), Enrico Musso (sen. PDL, Enzo Palumbo (pres. C.N. del PLI), Carlo Scognamiglio (ex pres. Senato), Giuseppe Vegas (vice ministro Economia), Gianni Vernetti (dep. API). Sulla “Sfida internazionale” c’era l’intervento di Kirjas, segr. Liberal International.

Lo scopo finale accennato nel programma era quello di “Tracciare possibili percorsi di politiche liberali condivise” dai più diversi settori liberali. Per “elaborare insieme una politica liberale per fare i cambiamenti necessari”, insomma, le tanto attese e mai realizzate Riforme.

Forse è per questo che abbondavano i politici di professione, molti dei quali poco noti. Ma non si ripete sempre che questa classe politica non è liberale, che ha pochissimi esponenti liberali, e che la società civile è molto più liberale? Non si dice da sempre che Camera e Senato non rappresentano la società italiana, ma solo la partitocrazia, cioè il Regime con i suoi privilegi di casta? La politica non è un incontro tra politici e politicanti “amici” che si telefonano o si incontrano, magari alla “buvette” o nel “Transatlantico” della Camera. E allora, perché, gira e rigira, attingere sempre al Parlamento, che più di tanto evidentemente non può dare?

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