Sul Metodo Liberale – 2a parte

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di PIETRO PAGANINI

L’epistemologia popperiana sembra essere molto apprezzata da Umberto Eco, che in una delle sue più recenti “bustine” (Giugno 11, 2010) sembra riconoscergli il merito di demolire il dogmatismo scientifico piuttosto che di difenderlo. Anche un prestigioso semiologo quale Eco è convinto dello straordinario valore che una società aperta e plurale può portare alla scienza e al progresso. Tale valore non è scontato nella società contemporanea o dell’informazione. I più pericolosi nemici dell’innovazione e della libertà economica non sono coloro che negano la società aperta, infatti, quanto coloro che propagandano sviluppo e progresso senza voler riconoscere le premesse del Liberalismo in politica come metodo per la società plurale, aperta e, per l’appunto, Liberale. In altri scritti, in tempi non sospetti, quando ancora l’acqua calda era una scoperta, ho sostenuto che comune denominatore delle società più innovatrici e progredite fosse la pluralità, che in sostanza è la presenza di molteplici potenziali rivoluzioni. Le possibilità di alimentare focolai rivoluzionari all’interno di una comunità sono tanto maggiori quanto tale comunità è aperta e plurale.

Sul piano scientifico tuttavia Eco riscontra come dalla morte del “dogmatismo” potrebbero derivare pericolose conseguenze per la produzione di conoscenze. E’ una percezione non di poco conto che condivido ma sulla quale vale la pena spendere una riflessione. Può la costante propensione al “dubbio scientifico” smantellare il dogmatismo? In altre parole può una comunità scientifica fondata su un paradigma ben preciso, lasciarsi travolgere dal sentimento rivoluzionario e smontare qualsiasi tentativo di istituzionalizzazione di una norma scientifica? Perchè il pericolo che si intravede nella società delle reti informatiche e sociali è quello della morte del dogma sotto i colpi della molteplicità delle verità a seguito del potere dell’informazione. Oggi, per esempio, ci formiamo alla storia dei romani secondo i canoni di un paradigma disciplinare ben preciso e della comunità che ad esso fa riferimento. Lo facciamo attraverso i libri, la scuola, il senso comune. Sarebbe lo stesso se il nostro punto di riferimento fosse la vastità della rete, dove il paradigma – quello della storia dei romani nel nostro caso – sembra non esistere, travolto dalla molteplicità di interpretazioni? Il rischio è che il dogma venga travolto dalla pluralità delle interpretazioni. Oltretutto, tali interpretazioni non sono “verificate” da alcuna comunità, a differenza di quanto sembra invece accadere per la scienza normale, allorquando la sconfitta della norma è sancita dalla ribellione della comunità scientifica. In rete sembrano esistere molteplici focolai rivoluzionari la cui validità resta debole e, soprattutto, la cui validità non è “verificata” da alcuna legittima comunità. Muore il dogma, ma non sembra esserci un vero pensiero dominante. Sia l’analisi di Kuhn che le speranze di Popper sarebbero sconfessate per far posto ad un relativismo debole e soprattutto sconclusionato che non è in grado di proporre una vera alternativa al dogma, tale da poter far progredire la scienza e il sapere. In altre parole il “falsificazionismo” che Popper auspica condurrebbe alla fine del sapere, almeno come noi lo interpretiamo. Perchè una risposta su come le cose saranno non siamo in grado di fornirla nè ci interessa farlo, possiamo solo presumerla, con la poca esperienza a disposizione.

E’ lecito porsi il problema piuttosto che abbozzare un’osservazione. E’ la rete a sancire la fine del dogmatismo e la fine dello sviluppo delle conoscenze, o nella migliore delle ipotesi, è la rete a terminare il dogmatismo e ad introdurci ad una nuova epistemologia? Per rispondere a questo quesito è forse opportuno chiedersi come funziona il sapere in rete rispetto alle comunità dogmatiche presenti. Due considerazioni sono necessarie alla luce dei fatti che sperimentiamo. Proprio per la sua natura le reti informatiche, come le reti sociali, offrono i semi per una pluralità più prospera, cioè tanti potenziali focolai rivoluzionari. Resta da chiarire se questi focolai sono l’inevitabile condanna del dogmatismo o semplicemente uno strumento per consentirci di elaborare ulteriormente il sapere. A questo punto è utile chiederci se tante opportunità conducano all’anarchia epistemologica. La risposta è negativa, perchè la rete non è un luogo a sè. Essa è luogo dove le opportunità si moltiplicano ma non è un luogo dove le logiche della realtà fisica svaniscono. Al contrario, come i focolai trovano spazio e adepti altrimenti impensabili, la norma troverà nuove forme per manifestarsi. Stanno cambiano le dinamiche, non la struttura. La rete garantisce spazio “al dubbio” ma garantisce anche più difese alla comunità. Il processo descritto dal Kuhn resta valido, anzi si rafforza , si amplifica grazie alla logica reticolare e globale delle reti sociali ed informatiche.

La falsificazione che il Popper introduce non declina nel relativismo o addirittura nell’anarchismo epistemologico della rete. Al contrario, la proposta Liberale è un costante sforzo per migliorare il sapere attraverso l’opera critica. Essa non mira a disgregare il dogmatismo perchè è consapevole che esso è espressione della natura umana. Il comunitarismo è nemico della società aperta, ma è propensione umana, per cui gli individui per loro natura cercheranno di difendere la propria norma di riferimento dagli attacchi rivoluzionari di altri individui guidati dallo spirito critico. In rete non muore la rappresentazione che il Kuhn ci propone, come non muore la proposta di Popper, che invece trova, proprio nelle dinamiche della partecipazione attiva, maggiore potenziale.
La rete rischia piuttosto di fornire un sostegno al dogmatismo piuttosto che accelerarne la fine.

[leggi la 1a parte ]

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