India, Hillary apre la strada a Obama

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di ANTONIO PICASSO

La prima democrazia del mondo, gli Stati Uniti, e quella più popolosa, l’India, sono in questi giorni a confronto. Si è aperto ieri a New Delhi il summit bilaterale fra i due governi. Ospite d’onore del Governo indiano il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Il viaggio però è un’anticipazione della visita da parte dello stesso Presidente Obama, che dovrebbe arrivare nel sub continente indiano in una data non ancora stabilita. A questo proposito gli osservatori internazionali non nascondono una vena di scetticismo. Ieri il Wall Street Journal titolava: “Obama andrà in India, Singh sarà pronto?” Il riferimento, schiettamente polemico, riguardava la crisi di popolarità che il Primo ministro indiano, Manmohan Singh, sta attraversando, a causa della attuale congiuntura negativa, fra l’impasse economica e i problemi di sicurezza nel Paese. Obama sarebbe comunque il sesto inquilino della Casa Bianca a compiere un viaggio ufficiale in India. Chiaro quindi che fra i due Paesi l’alleanza si può dire più che stabile.

Al di là di questo però il summit di due giorni e che si conclude oggi ha un valore strategico nell’ambito dell’economia globale e delle dinamiche geopolitiche. Il punto di partenza del confronto è di carattere economico-commerciale. È stato l’Us-India Business Council (Usibc) ad aver caldeggiato e promosso l’iniziativa. L’organizzazione è stata fondata ancora nel 1975 ed è per questo che oggi se ne celebra il 35 esimo anniversario con la maggiore visibilità possibile. L’Usibc si compone dei rappresentanti delle maggiori società industriali, commerciali e finanziarie – sia made in Usa sia made in India – interessate a un ulteriore consolidamento della collaborazione fra i due Paesi. Soprattutto in termini politici. “Il volume di affari fra i due colossi del mercato globale (che supera i 50 miliardi di dollari, ndr) non sono mai stati così floridi come in questo periodo”, dice il Presidente dell’Usibc, Ron Somer con soddisfazione. Negli ultimi cinque anni, il numero di società americane che hanno deciso di investire in India è passato da 80 a 350. La prima potenza dell’Asia centrale rappresenta una “nuova frontiera” per le esportazioni statunitensi. In tal senso, l’unico Paese che può competere con l’India è la Cina, che vanta un credito con Washington di ben 268 miliardi di dollari. Non è un caso che proprio Pechino si sia fatta sentire polemicamente, palesando il suo timore che l’India diventi troppo competitiva nei suoi confronti, per quanto riguarda i rapporto con gli Stati Uniti. Tuttavia né le regole del libero mercato globale né gli accordi commerciali bilaterali impediscono a Washington di siglare partnership con altri soggetti, senza il placet cinese.

Del resto la lista di interessi comuni che legano gli Usa e l’India è lunga e va oltre il settore dell’economia. In questo, oltre all’Usibc, il merito dell’organizzazione va attribuito al senatore democratico John Kerry, uomo ombra della politica estera Usa. L’obiettivo strategico dei due governi è di contenere l’influenza cinese che incalza a 360 nel mondo: dall’Estremo Oriente all’Africa, passando per l’Europa. È chiaro che un’alleanza fra New Delhi e Washington provochi una collaterale pressione sull’espansionismo di Pechino. Stiamo parlando di tre potenze industriali, ciascuna dotata di un proprio arsenale nucleare e con un peso demografico notevole a livello internazionale. Ma soprattutto ciascuna delle tre interessata a prevalere sulle altre due.

Seguono poi l’“Af-Pak war” e il terrorismo di matrice jihadista, in cui le forze di sicurezza indiane e statunitensi condividono la stessa trincea e sono alla ricerca di una soluzione comune per la stabilità dell’area. Tuttavia, data la presenza della stessa Clinton, non si può escludere che nel summit si stiano toccando altri dossier. Per esempio quello su Israele e l’altro sull’Iran. New Delhi vanta buone relazioni con entrambi i Paesi. È plausibile pensare che gli Usa siano alla ricerca di una sponda politicamente forte per invertire la rotta dei problemi di questi governi. A questo proposito merita di essere sottolineato che fu proprio Ron Somers il capo cordata nella partnership India-Usa per la produzione comune di energia nucleare. Ultimamente si è parlato di un Medio Oriente denuclearizzato. L’obiettivo chiamerebbe in causa il regime di Teheran – che nutre ambizioni militari e quindi aggressive nel settore – e la stessa Israele, la quale si presume che disponga già di un proprio arsenale atomico. Un mediatore come Somers in tal caso potrebbe tornare utile.

In termini più generali, Washington spera di poter contare sull’India come su un alleato affidabile, politicamente stabile, che vanta una crescita economica dignitosa e anche forte in termini militari. Affinché il Dipartimento di Stato Usa possa manovrare agevolmente nel mondo arabo-islamico e in Asia centrale, l’amicizia con il Governo Singh diventa prioritaria. Ancora più importante del dialogo con la Cina. L’India a sua volta nutre un’ambizione che è difficile nascondere, cioè quella di arrivare a una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per conquistarvi un seggio permanente. Per questo avere l’aggancio degli Usa risulta fondamentale.

Pubblicato su liberal del 4 giugno 2010

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