Ci siamo dimenticati l’Africa. E intanto la Cina…

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Non è un continente morto, ed è tempo di rivedere l’economia globale

di EDOARDO CAPRINO

Il mondo è in piena crisi, nulla sembra girare per il verso giusto. L’Europa segue con preoccupazione gli sviluppi dell’andamento delle borse. Il declassamento del rating della Spagna tutto è meno che una buona notizia. Fa paura l’avanzamento della tigre asiatica (vedi alla voce Cina) cui si unisce l’India. Dopo tanto liberismo – a parole – il sistema sembra andare in crisi.

Ma effettivamente il mondo in cui viviamo è autenticamente liberale? O meglio, siamo di fronte a un mercato realmente costruito sui principi della libera impresa e quindi del libero commercio? Certo che no. E un richiamo a questo aspetto viene da un continente volutamente dimenticato – spesso e volentieri – dalle carte geografiche: l’Africa.
Andando a sfogliare i sussidiari e i libri di geografia degli anni sessanta e settanta sui quali si è studiato, si possono osservare le foto a corredo di quei paesi. Un osservatore – anche non del tutto attento – rimane colpito dalle auto, dai vestiti, dallo stile di vita delle persone che si vede in quelle immagini. In alcuni casi nulla di tanto diverso dalle istantanee scattate nelle città europee in quei momenti.

Perché? Facile risposta. Quei paesi uscivano dal colonialismo, si lasciavano alle spalle i legami con Gran Bretagna e Francia (in primis). Gli usi e i costumi erano quelli degli ex controllanti. E dopo cosa è successo? Spesso e volentieri per queste nazioni poco è cambiato: repentini cambi di regime (il più delle volte dittatoriali), un sistema economico incapace di partire (anche, bisogna dirlo, per inefficienze di capacità a livello imprenditoriale degli stessi africani), un’agricoltura spesso e volentieri di sussistenza e, dulcis in fundo, fame e malattia.
Senza le realtà missionarie (di qualsiasi colore politico e confessione) spesso e volentieri quel Continente sarebbe scomparso dal mondo (della comunicazione). Salvo poche testate (vedi ad esempio Avvenire) conflitti e carestie non sarebbero giunte ai nostri occhi e alle nostre orecchie (alla faccia di tutti i cosiddetti avanzamenti nel mondo massmediatico). Le agenzie dell’Onu che operano sul campo non sempre hanno fornito la risposta più corretta.

Si è andati avanti a forza di aiuti, di elemosine, di cancellazioni del debito, a provvidenze date a favore delle popolazioni affamate che andavano a ingrassare i dittatorelli di turno. Ma è ancora tollerabile?
Certo, un’inversione di tendenza recentemente vi è stata. Il mondo sembra aver preso consapevolezza che qualcosa si deve cambiare, che non è più possibile procedere con la logica assistenzialista. Occorre una rivoluzione, autenticamente liberale, ma difficilmente l’Europa – la culla del laissez faire – in questo momento darà l’esempio.
Basta considerare l’Africa un continente morto, un continente buono solo per versare aiuti per lavarsi la coscienza. Occorre rivedere il sistema economico. Ma non eliminando il libero mercato. Anzi, aumentandolo, rendendo veri i suoi principi. Come? Ad esempio togliendo le barriere – dazi, gabelle e quant’altro – che esistono ancora oggi (più o meno direttamente) sulle merci che provengono dall’Africa. Eliminando gli aiuti all’agricoltura (sapendo bene quanto essi incidono sul bilancio comunitario) di cui la Francia è per prima fruitrice. Tutte cose contrarie al vero libero mercato.

L’Africa, gli africani si aiutano non più considerandoli un popolo da sovvenzionare, da aiutare. Il passo successivo, la rivoluzione copernicana, è di considerarli partner economici. Non più nazioni “sottomesse” (anche solo indirettamente) , ma veri e propri mercati capaci di diventare la nostra prossima Cina. Anche perché, se presto non si apriranno gli occhi, la Cina ci inghiottirà e saranno dolori per tutti.

All’Africa è dedicato integralmente il nuovo numero di Charta minuta, bimestrale della Fondazione Farefuturo, che sarà presentato il 7 giugno.

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