La teoria del Capitalismo: George Gilder

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di ELISA PALMIERI

George Gilder, ospite di Libertiamo nell’incontro dal titolo The Information Theory of Capitalist Profit, è un intellettuale intrigante, amabile e visionario.

Con George Gilder il dialogo si fa sempre più interessante, vista la sua propensione a parlare di molteplici temi. Incuriositi dalla sua storia e dalle esperienze di vita vissuta, non possiamo far altro che ascoltarlo con attenzione. Si discute di tutto, non ultimo del suo libro di recente pubblicazione, The Israel Test, nel quale elabora la tesi con la quale spiega le radici del conflitto mediorientale: non legate al controllo del territorio o alla religione, ma soprattutto di origine psicologica e derivanti dal risentimento nei confronti dei successi di Israele. L’antisionismo, insomma, è spinto dagli stessi fenomeni che hanno sempre alimentato l’antisemitismo: l’invidia e l’incapacità di comprendere il libero mercato.
Dagli scenari politici del partito repubblicano americano alle sfide dell’immigrazione: “Ah, se fossi in voi italiani, mi preoccuperei se ne venissero troppo pochi. Piuttosto pensate a far loro imparare l’italiano ed attraete quanti più high-skilled immigrants è possibile”.

Definito il guru della reaganomics o guru hi-tech (nel 1981 pubblica Ricchezza e Povertà), Gilder anticipa di anni il mercato. Nel 1993 teorizzava che la crescita economica sarebbe stata la bandwidth, l’ampiezza della banda di connessione a Internet: diventando praticamente gratis, o comunque davvero poco costosa, la banda sarebbe stata per i decenni successivi ciò che il motore a vapore è stato per la Rivoluzione Industriale.

A distanza di diciassette anni, dopo la nascita della dot economy, George Gilder sembrò vacillare, si ritrovò pieno di debiti e dovette “reinventarsi”, ma sappiamo quanto profetiche fossero quelle teorie.
E se nel 1994, in un libro dal titolo molto indicativo, Life after Television, Gilder sistematizzò le sue previsioni, è già in cantiere la nuova sfida: The end of the Internet. Per ora poco più di una bozza, tra qualche tempo un libro che varrà la pena leggere.

Tra il 2004 e il 2005 convince Bruce Chapman ad aprire un ufficio del Discovery Institute (di Steve Forbes e Bruce Chapman, fino ad allora con sede a Seattle) a Washington D.C., con l’obiettivo di trasformare un think-tank nato per risolvere i problemi di traffico a Seattle nella punta di diamante intellettuale del movimento di rivolta contro il neodarwinismo. La parola d’ordine di Gilder e del Discovery Institute non è “creazionismo“, ma “intelligent design“.
Rielabora il concetto di entropia dell’informazione (la quantità d’incertezza, la sorpresa, l’evento imprevedibile) come chiave interpretativa del profitto imprenditoriale: la creatività è sempre una sorpresa, il suo prodotto è sempre inaspettato ed è questo che determina il profitto dell’imprenditore. Se la politica ha un compito, è quello di offrire un ambiente a bassa entropia – uno stato di diritto solido, una moneta stabile, un sistema di difesa della proprietà e dell’incolumità.

“La teoria dell’informazione come nuova frontiera della teoria economica. Ma un mondo del genere non solo non è possibile, ma non sarebbe nemmeno desiderabile, perché rappresenterebbe la fine della creatività e della libertà. Se fosse tutto noto – fa notare Gilder – la pianificazione economica ed il socialismo funzionerebbero. Siamo invece ‘condannati’ a vivere in un mondo ad alta entropia, dove il mercato non esiste a prescindere dall’imprenditore. Anzi, è l’imprenditore che crea il mercato, costantemente imperfetto, mutevole, instabile”.

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