Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono

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di MARTINA CECCO

Di razzismo lessicale ne parlava una campagna, curata da un gruppo di giornalisti che nel mese di luglio del 2008 hanno dato il via a “Mettiamo al bando la parola clandestino”, per firma di Lorenzo Guadagnucci, Carlo Gubitosa, Beatrice Montini e Zenone Sovilla, che hanno deciso di mettere in ordine il vocabolario di uso media/quotidiano che viene poi usato anche dalla carta stampata, televisione e internet.

La campagna è stata sottoscritta da parecchi professionisti del mondo della comunicazione, con l’ obiettivo di arrivare a una Informazione Pulita, come cita lo slogan. All’appello hanno risposto in parecchi, solo internet conta più di 250 professionisti che hanno deciso di fare pulizia nel loro lessico. Col tempo è cresciuto il bisogno di rimuovere le gravi contraddizioni e le sporcizie lessicali.

Dalla campagna al libro: l’autore Giuseppe Faso ha deciso di farne un libro dal titolo “Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono” edito da DeriveApprodi nel 2008, che spiega parole e frasi fatte che dovrebbero essere cancellate dal linguaggio giornalistico, ma ancora di più da quello culturale e politico, dei “dotti” in quanto cariche di: pregiudizi – significati – contenuti che vanno oltre la cronaca, portando il lettore a conclusioni inconsce o coscienti che non sono direttamente riconducibili alla persona di cui si sta trattando.

Parole come proiettili, dita puntate, insinuazioni, sarebbe questo il significato del libro, che porta a capire il lettore tanto quanto l’addetto ai lavori, come una stessa parola, usata in un contesto sbagliato, possa portare a conseguenze gravi.

Alcune delle parole che non possono passare inosservate? La parola “clandestino” con cui si descrive una persona straniera che viola le leggi di immigrazione del paese di destinazione, che oramai ha consumato il suo significato, passando da termine giuridico a termine popolare, per indicare una persona che potenzialmente potrebbe delinquere.

Si va avanti poi con altri termini assurdi, come la frase “immigrazione illegale” come fa notare la giornalista Sandra Cangemi, in riferimento al libro di Faso: scusate, ma come si svilupperebbe l’iter ideale del “rifugiato legale”?

Frasi fatte che non significano niente, come possono significare tutto, ad esempio il titolo “nobiliare” di “extracomunitario” che viene usato in riferimento allo straniero, ma di che comunità .. quella europea? Allora sono extracomunitari anche gli australiani, ma in questa accezione lo avete mai visto?

Un discorso a parte, per parlare di stranezze e assurdità lessicali, è quello riferito alla parola “badante”. Chi sono le badanti? A che cosa badano?

Queste parole ma tante altre, che indicano volontà di ghettizzare, o meglio di descrivere, inserire per forza in una categoria sociale ogni individuo, frenando il flusso della crescita sociale della interpretazione del prossimo come simile, non come diverso.

Ecco allora che il registro e il linguaggio, il lessico e la sintassi, diventano fondamentali per comunicare, oltre il contenuto, il senso di ciò che si va dicendo. Un senso che è quel filo rosso che unisce diversi contenuti e rende giustizia e merito a una condizione umana, oltre che economica, politica e giuridica degli individui di cui si parla, nei giornali, in televisione e su internet.

L’AUTORE
Giuseppe Faso (1947) è pugliese, ha vissuto in Sicilia da giovane, poi si è trasferito a Milano per studio. Ha lavorato a Venezia e a Bolzano, vive ora in Toscana. Insegnante, volontario e politico si occupa ora di formazione e di educazione all’accoglienza.

Di Martina Cecco

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