A Garlasco il processo penale probabilmente ha funzionato

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di Enrico Gagliardi

Ogni volta che processi penali particolarmente importanti dal punto di vista mediatico investono l’opinione pubblica, assistiamo puntualmente alla genesi di una folta schiera di “esperti” di procedura penale i quali certificano il fallimento del sistema penale piuttosto che la sua rivincita.

Il caso Garlasco ne è un esempio nitido: nel corso del processo una perizia del giudice ha nei fatti completamente ribaltato l’ipotesi accusatoria del Pubblico Ministero che individuava in una determinata ora l’omicidio di Chiara Poggi per mano di Alberto Stasi.

Il crollo del teorema accusatorio ha scatenato fortissime polemiche sfociate nuovamente nell’ipotesi di responsabilizzare il Pubblico Ministero negligente.

Prescindendo dallo sbocco processuale che il caso avrà, bisogna mettere in luce come una critica del genere nella fattispecie concreta non sia del tutto fondata.

In altri termini in situazioni di questo tipo (ipotesi accusatorie accanitamente sostenute ma rivelatesi poi fallaci) la sanzione è endemica al processo stesso. Quando una perizia del giudice (organo terzo ed imparziale) indebolisce e sconfessa quella di una parte, il processo ha svolto il suo dovere, ha funzionato.

È proprio questa l’essenza del modello accusatorio di stampo anglosassone: una sana e rigida dialettica procedimentale davanti ad un “arbitro” (il giudice) dotato di alcuni poteri di iniziativa probatoria grazie ai quali è possibile modificare le posizione delle singole parti.

È proprio il contraddittorio grazie al quale i diversi soggetti si affrontano con i mezzi loro a disposizione a rappresentare indirettamente la sanzione in caso di eventuali negligenze. Il Pubblico Ministero o la difesa che assumono posizioni discutibili o deboli avranno come conseguenza del loro comportamento l’eventuale “sconfitta” della loro tesi.

Solo la sentenza potrà cristallizzare i fatti di Garlasco e dirci se l’ipotesi dell’accusa era sufficientemente solida oppure no; di sicuro il magistrato ha subito il contraccolpo della perizia del giudice.

Sono altri gli ambiti nei quali ravvisare eventuali responsabilità degli organi inquirenti. Per quello come Garlasco basta un regolare processo che come in una partita tra più squadre vede prevalere quella migliore, quella più competitiva.

Dispiace invece che puntualmente si perdano occasioni per affrontare le singole questioni in modo approfondito, ragionando sulle diverse ipotesi, scindendole tra loro.

Purtroppo nel nostro paese prevale un taglio più sensazionalistico finalizzato alla polemica ed a qualche “plastico” e trasmissione di troppo.

Nell’ottica di un processo sempre più accusatorio, almeno nelle sue intenzioni, devono invece essere viste poi le modifiche legislative che qualche anno fa hanno potenziato i poteri dell’imputato sotto il profilo delle indagini difensive. Al soggetto imputato infatti è consentito condurre investigazioni per mezzo di personale privato specializzato e qualsiasi altro atto in grado di liberarlo dalle eventuali accuse.

La logica di una scelta legislativa di questo tipo è ovvia: procedere verso una progressiva uguaglianza tra accusa e difesa iniziata con la riforma del 1988-1989 e proseguita con vicende alterne nel corso degli anni novanta.

Quanto poi questa normativa sia effettivamente applicata è altra storia. Gran parte degli studiosi di procedura penale infatti hanno più volte messo in luce la sostanziale inapplicabilità reale delle norme in materia di indagini difensive; inapplicabilità che nei fatti rende le posizioni del Pubblico Ministero e della difesa ancora separate da una distanza siderale ovviamente a favore dell’organo di accusa.

Ecco allora che a maggior ragione il ruolo del giudice risulta sempre più centrale e fondamentale proprio in funzione di arbitro in grado di calibrare le eventuali differenze tra le parti sopperendo laddove queste possano risultare eccessivamente sbilanciate verso la Pubblica Accusa.

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