Il Barone Ungern – vita del Khan delle Steppe

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La steppa, la taiga, le estese pianure asiatiche dei primi Anni del ‘900 fanno da sfondo non solo al celebre e bellissimo romanzo d’avventura di Vladimir Arsen’ev “Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi pianure” (1923), ma anche ad un personaggio storico che molto ha di romanzesco, al punto da essere stato fonte di ispirazione non solo di opere letterarie, ma persino di opere fumettistiche, ovvero il Barone Roman Von Ungern-Sternberg (1886 – 1921), protagonista dell’opera romanzesca a sfondo esoterico di Ferdynand Ossendowski “Bestie, uomini e Dei” (1925) e co-protagonista dell’avventura a fumetti di Corto Maltese ideata da Hugo Pratt “Corte Sconta detta Arcana” (1974).

Figura romanzesca della Guerra Civile Russa, il Barone Ungern fu soprannominato di volta in volta “Barone Nero”, “Dio della Guerra”, “Barone Sanguinario”, “Barone Pazzo” per il suo carattere oscuro e la sua supposta efferatezza.
Di origine austriaca, il Barone Ungern fu buddhista – grazie, pare, agli insegnamenti del nonno dottore in Filosofia all’Università di Lipsia – e antibolscevico, tanto da arruolarsi nell’Armata Bianca e da considerare la Terza Internazionale Comunista come l’incarnazione demoniaca del male “nata tremila anni prima in Babilonia”.
Di questo, ovvero di tale personaggio, parla una delle ultime pubblicazioni delle Edizioni Mediterranee “Il Barone Ungern” di Leonid Juzefovic, pubblicato per la prima volta in lingua italiana con il sostegno dell’Istituto della traduzione russo, tradotto da Paolo Imperio e con revisione di Mara Morini.
Opera monumentale e più completa oggi disponibile, quella dello storico e sceneggiatore Juzefovic, che consta di circa quattrocento pagine e ricchissima di eventi storici, aneddoti, rievocazioni di battaglie e avventure, oltre che di foto dell’epoca, le quali tentano di penetrare nella leggenda del Barone Ungern-Sternberg.
Ma chi era il Barone Ungern e perché così tanta curiosità attorno alla sua figura ?
Forse perché fu personaggio singolare, tale da attirare l’attenzione degli avventurieri, dei romanzieri e persino degli spiritualisti, con la sua idea di creare un Ordine Militare Buddhista per combattere quella che egli riteneva la “depravazione rivoluzionaria” bolscevica. Un’idea che fondava la sua suggestione nel voler ricreare l’Impero di Gengis Kahn che riunisse – in un’unica teocrazia buddhista – Cinesi, Mongoli, Tibetani, Afgani, Tartari, Buriati, Kirghisi e Calmucchi quale baluardo contro ogni idea rivoluzionaria, borghese, atea e modernista, per quanto, come scrive Juzefovic nel suo saggio, vi fossero fra le fila bolsceviche anche diversi credenti buddhisti, i quali tentavano di conciliare il comunismo con gli insegnamenti del Buddha, in chiave spirituale e anti-borghese,
Inseguendo tale ambiziosa quanto folle idea di risveglio asiatico, che avrebbe dovuto culiminare con il ritorno sul trono cinese della dinastia Manciù, il Barone – il quale era solito astenersi dal sesso, vivere in solitudine nella foresta in compagnia di un gufo e nutrirsi con moderazione – si alleerà ai Mongoli – i quali lo vedevano come un’incarnazione ultraterrena – guidati del Bogdo Gègèn Khan VIII, guida politica e religiosa, il quale sarà dal Barone stesso liberato dopo una guerra contro i Cinesi. Fu allora, nel marzo 1921, che la Mongolia – sino all’avvento del governo comunista – diverrà una teocrazia indipendente con a capo lo stesso Barone Ungern, proclamato Khan.
Nell’agosto del 1921, purtuttavia, tradito da un predone calmucco, il Barone sarà consegnato alle armate bolsceviche e nel settembre dello stesso anno processato e fucilato per il suo antibolscevismo e per aver sostenuto la monarchia dei Romanov, per quanto la leggenda – ma ovviamente trattasi unicamente di una leggenda – voglia che egli si sia salvato e sia fuggito.
Del Barone Ungern-Sternberg, di cui l’opera biografica e non agiografica di Leonid Juzefovic è certamente la più completa, che cosa rimane ?
Come rammenta l’autore – per quanto i suoi ideali di riunire un nuovo Impero asiatico siano falliti – rimane il fatto che grazie a lui la Mongolia è rimasta un Paese indipendente rispetto alla Cina. E rimangono opere, romanzi, fumetti e persino videogame di cui lui è protagonista indiscusso. Pensiamo all’opera di Vladimir Pozner, Jean Mabire, ai fumetti di Hugo Pratt a lui dedicati, al videogame della Wanadoo “Iron Storm” e all’interesse per la sua figura da parte del regista danese Lars Von Trier, che avrebbe su di lui voluto realizzare un film. Rimangono suggestioni eurasiatiste e antimoderne alle quali si ispirarono il filosofo Aleksandr Dugin e lo scrittore Eduard Limonov quando fondarono il loro Partito Nazionalbolscevico negli Anni ’90, citati nel saggio di Juzefovic. Ma soprattutto rimane la leggenda di un personaggio letterario tipico delle opere avventurose e cavalleresche dell’Otto-Novecento, di cui molto è stato scritto, ma forse poco si sa di certo.
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Nato a Roma nel 1979, è blogger dal 2004 (www.amoreeliberta.blogspot.it). Dal 2000 collabora e ha collaborato con diverse riviste di cultura risorgimentale, esoterica e socialista, oltre che con numerose testate giornalistiche nazionali, fra le quali L'Opinione delle Libertà, La Voce Repubblicana, L'Ideologia Socialista, La Giustizia, Critica Sociale, Olnews, Electomagazine, Liberalcafé. Suoi articoli sono e sono stati tradotti e apprezzati in Francia, Belgio, Serbia e Brasile. Ha pubblicato i saggi "Universo Massonico" (2012); "Ritratti di Donna (2014); "Amore e Libertà - Manifesto per la Civiltà dell'Amore" (2019); "L'Altra Russia di Eduard Limonov - I giovani proletari del nazionalbolscevismo" (2022) e "Ritratti del Socialismo" (2023)

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