Essere o non essere, questo è il problema…

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di Fabiana Galassi

E’ inutile eleggere un’Assemblea senza poteri, è sbagliato attribuire più poteri a un’Assemblea non eletta dal popolo. La sintetica interpretazione di de Gaulle sulla natura del Parlamento europeo, oggi, assume un carattere grottesco.

L’Assemblea godeva di un mero potere consultivo prima dell’elezione del 1979, ma la sua stessa esistenza costituiva un evento perchè quest’organismo rappresentava la dimensione sovranazionale per una Comunità di Stati. La scelta del rinnovamento dell’assetto istituzionale europeo mirava, quindi, a riequilibrare il baricentro istituzionale stesso, passando da un’Assemblea a un Parlamento e sfruttando con l’elezione diretta una credibilità indiscutibile. Nel progetto federalista, infatti, l’attribuzione di un peso istituzionale al Parlamento, avrebbe reso reale la soggettività politica della Comunità; quest’ultima da un’organizzazione economica avrebbe rafforzato il suo carattere politico, elemento imprescindibile per la realizzazione di una federazione di Stati. Inoltre, i parlamentari sarebbero stati svincolati dalla minaccia nazionale della nomina per misurarsi esclusivamente con i loro cittadini, evitando così incidenti tesi a paralizzare l’attività comunitaria come la “politica della sedia vuota”, non a caso opera di De Gaulle.

Questa logica ho condotto alla realizzazione dell’attuale Parlamento europeo, contro euroscettici o europeisti convinti sostenitori dell’incrollabilità del potere decisionale nazionale. Al contrario, nella convinzione federalista, i cittadini europei avrebbero dovuto vivere i risultati della “comunione dei beni” da un punto di vista economico per poi, comprendere lo scatto dell’abbandono del recinto politico nazionale; per questo motivo, la Ceca e l’Euratom, Comunità con scopi commerciali ed economici, avrebbero dovuto costituire la prova dei vantaggi europeisti e rappresentare la transizione verso gli Stati Uniti d’Europa.

L’attività europea, quindi, ha ancora una dimensione eminentemente nazionale, ma il Parlamento europeo, con il tempo, sta sbrecciando questa rocciosa certezza con il suo potere codecisionale legislativo, di veto sul bilancio e di lasciapassare per i potenziali membri dell’Unione; oggi, il Parlamento ha una solida e indiscutibile autonomia da Commissione – la quale viene controllata dal Parlamento stesso – e dal Consiglio europeo, quest’ultimo reggente inconstrato dall’architettura istituzionale.

Nonostante questi sforzi per la conquista di un acquis comunitario, per il consolidamento di un potere esclusivo dell’Unione a detrimento delle singole ragioni statuali, quel progetto federalista sta subendo una parabola discendente.

Pochi sono i cittadini europei consapevoli della loro doppia identità, nazionale e comunitaria, e della necessità di non arroccarsi su posizioni nazionaliste per sopravvivere in un epoca in cui le sfide globali, dal terrorismo alla crisi economica per citare la vulgata delle preoccupazioni mondiali, possono essere affrontate solo coralmente.

La disaffezione dei cittadini nei confronti dell’unico organo europeo sul quale possono agire, è indicativa dell’incapacità dell’Unione di parlare ai suoi cittadini e del potere che i singoli stati conservano sulla formazione del pensiero collettivo. La tendenza all’astensionismo, realtà nazionale ed europea, e alla glocalizzazione, cioè a dare una risposta locale a problemi mondiali, sono classi di concause da affrontare se la priorità rimane la partecipazione consapevole dei cittadini alla costruzione dell’identità e, quindi, delle strutture europee.

In questo modo, se l’astensionismo – evidente dal 1979 quando a votare furono il 61.99% in nove stati membri mentre oggi, con ventisette stati non si arriva che al 43.24% – deve essere motivato con una tendenza naturale dei cittadini meno entusiasti della novità, questo trend ci parla anche di un referente politico comunitario non riconosciuto dai suoi cittadini come credibile. Le attività del Parlamento, tante e variegate, non vengono opportunamente pubblicizzate, se non nei casi in cui queste divergono con l’interesse del paese; inoltre, vi è la tendenza a misurare le elezioni europee non per il loro valore comunitario, ma come test ai Governi nazionali, una sorta di indagine di soddisfazione dei cittadini nei confronti dei loro politici. Per questo motivo, spesso le liste dei partiti nazionali non vengono pensate in base alla preparazione europeista dei candidati, ma al loro potere attrattivo nei confronti dell’elettorato.

La reazione alla globalizzazione con la localizzazione, è un fatto ormai consolidato. Per questo motivo, i partiti che hanno meglio saputo parlare di necessità concrete e non di valori astratti, hanno potuto guadagnare terreno. In questo modo, gli euroscettici e i Verdi sono avanzati. Il timore per l’ostruzionismo dei primi è concreto, la speranza per gli euroentusiasti rimane solo nella divisione fra schieramenti; insomma, gli euroscettici non sono un blocco monolitico e l’avversità fra diversi gruppi depotenzierà il loro impatto sull’Unione.

Oggi la strada tracciata da Spinelli come difficile e insicura, è diventata sbarrata dai continui lavori in corso.

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