Che fare dopo la rivoluzione elettorale?

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LIVIO GHERSI

Si è votato d’inverno, durante la Quaresima. Così la diffusa sofferenza per la crisi economica si è unita ad uno stato d’animo incline alla penitenza. Il tutto, per i credenti, accentuato dal trauma dell’uscita di scena di Papa Benedetto XVI. Un uomo considerato troppo razionale e dal temperamento “freddo”, ma che ha fatto, con semplicità, una cosa rivoluzionaria, finalizzata al bene ed alla rigenerazione spirituale della Chiesa.

Rivoluzionario è sicuramente stato anche il risultato delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Come definire altrimenti il fatto che un movimento politico in precedenza mai rappresentato in Parlamento, privo di struttura organizzativa e di finanziamenti, abbia ottenuto più di otto milioni e 688 mila voti e 108 seggi alla Camera dei deputati?
Ed abbia altresì conseguito il 23,8 per cento dei voti validi e 54 seggi al Senato?

Il Movimento 5 Stelle è quello che i politologi definirebbero una tipica forza politica “antisistema”. Il “sistema”, però, fa acqua da tutte le parti: tutti gli indicatori economici, dal debito pubblico alla disoccupazione, dalla pressione fiscale alla contrazione dei consumi, compongono un quadro, al cospetto del quale il compito di governare il Paese appare oggi arduo e problematico per chiunque.

La politica economica richiesta dall’Unione Europea, tesa unicamente ad imporre austerità e sacrifici per ridurre l’ammontare del debito pubblico, alimenta la recessione economica e fa esplodere il disagio sociale. E’ evidente che il voto espresso dagli Italiani debba essere interpretato in primo luogo come un voto di protesta.

Protesta nei confronti di una classe dirigente che ha governato molto male all’interno; e che all’esterno, nei rapporti con l’Unione Europea, ha subìto decisioni di politica economica assai gravi ed impegnative, senza avvertire l’esigenza di chiarirne il significato all’opinione pubblica.

Il voto si è coagulato intorno a tre blocchi politici, ciascuno dei quali, con riferimento alle elezioni della Camera, ha superato la percentuale del 25 per cento del totale dei voti validi espressi. Non c’è bisogno di spiegare come il Movimento 5 Stelle incarnasse in sé la protesta popolare.

Il punto è che anche la coalizione di Centrodestra ha raccolto consensi facendo leva sul malcontento sociale contro la pressione fiscale.

Il leader del Centrodestra è stato tanto spregiudicato da proporsi come contestatore di decisioni che egli stesso aveva negoziato e sottoscritto in ambito europeo; tanto spregiudicato da promuovere una campagna di disinformazione di massa sulla condizione disastrosa dei conti pubblici, come se la propria, lunga, pluriennale, azione di governo non avesse contribuito a determinarla e tutte le responsabilità fossero imputabili unicamente al Governo dei tecnici insediatosi nel novembre del 2011.

La circostanza paradossale è che, in questo modo, il ruolo di difensore del “sistema” è sembrato ricadere in primo luogo proprio sulla coalizione di Centrosinistra, che invece si prefiggeva di proporsi per una politica di cambiamento. In nome del senso di responsabilità, il Centrosinistra ha dichiarato che avrebbe tenuto fede agli impegni sottoscritti con l’Unione Europea; ha parlato di sacrifici “inevitabili”. Questo è ciò che la gente ha percepito e non ha gradito.

C’era tutto un altro aspetto che il Centrosinistra avrebbe potuto valorizzare: avrebbe potuto insistere sul fatto che il peso sociale dei sacrifici debba essere ripartito gravando maggiormente chi è ricco o relativamente benestante, e per converso alleggerendo chi ha poco e sta già male. Ancora, avrebbe potuto mettere in rilievo che sono già state avviate intese con le forze democratiche europee, di indirizzo socialdemocratico e progressista, per modificare in modo rilevante la politica economica e monetaria dell’Unione, puntando non sull’austerità, ma sulla crescita economica e sulla crescita dell’occupazione.

Non ha saputo chiarire agli Italiani che le misure proposte da Berlusconi, come ad esempio la restituzione dell’IMU già versata nel 2012 per la prima casa, erano state concepite in modo da favorire più i ricchi ed i benestanti, che i poveri.

Il Partito democratico non è credibile e resterà tale finché non assumerà una linea politica chiara: non può avere tra i propri massimi dirigenti un Enrico Letta che nessuno si meraviglierebbe di vedere nel partito di Monti, e, contemporaneamente, puntare ad essere un partito socialdemocratico di stampo europeo, alleato in Italia con altre forze di sinistra riformista, come “Sinistra, ecologia e libertà”. Operi finalmente una scelta, tenuto conto che la possibile resa elettorale della linea Letta non si discosterà molto dal basso livello di consenso che ha avuto Mario Monti; mentre il vero bacino elettorale del PD sta in un’opinione pubblica che, per storia, tradizioni, cultura, pensa sé stessa definendosi di “centrosinistra”, o “di sinistra” tout court.

Il PD è stato molto al governo, sia in ambito nazionale, sia, soprattutto, a livello regionale e locale. La consuetudine con il potere, quando non sia tenuta a freno da ideali saldi e da una forte dirittura morale, si traduce inevitabilmente in “magagne”; che qualche manina sapiente tira fuori al momento giusto, com’è accaduto nella recente vicenda del Monte dei Paschi di Siena. Anche la logica delle grandi opere, come l’ulteriore grandioso traforo per la linea ferroviaria ad alta velocità nella Val di Susa, è funzionale ai grandi affari (per pochi), a prezzo di irreversibili guasti ambientali (i cui effetti negativi ricadono sui molti senza potere).

Tutto ciò premesso, si tratta di vedere cosa fare. Il Partito democratico ha ritenuto conveniente che si andasse a votare con la legge elettorale vigente. Trattandosi di una legge di forte impianto bipolare, ciò ha consentito al Centrodestra di ricompattarsi e di rientrare in gioco.

Gli strateghi del PD volevano mettere al sicuro il premio di maggioranza alla Camera. L’hanno ottenuto, ma per un soffio (124.407 voti). Ora, comunque, partono da una posizione di vantaggio. Il peso parlamentare del Centrodestra si è fortemente ridimensionato rispetto all’esito delle elezioni del 2008. Controlla 124 seggi alla Camera, laddove nel 2008 ne aveva 340; controlla 116 seggi al Senato, laddove nel 2008 ne aveva 168.

Minor peso parlamentare significa minor peso politico. Di conseguenza, il PD ha interesse che questa condizione di minorità parlamentare-politica del Centrodestra perduri il più possibile. Parlare di nuove elezioni ravvicinate è pericoloso; non soltanto per banali interessi di bottega.

Chi conosca la storia della Repubblica di Weimar sa che, in condizioni di forte crisi economico-sociale e di crisi politica, il ricorso continuo ad elezioni anticipate ha l’unico effetto di far crescere le forze politiche più estreme e radicali.

Beppe Grillo ha sicuramente un temperamento un po’ autoritario, come si conviene ad un capo giacobino. Penso, però, che non voglia auto-promuovere sé stesso, ma abbia effettivamente a cuore le sorti dell’Italia, della gente in carne ed ossa che vive nel nostro Paese e che ha incontrato in campagna elettorale. I 108 deputati ed i 54 senatori del Movimento 5 Stelle, con buona probabilità, sono donne ed uomini perbene. Vergini degli aspetti deteriori propri di chi ha lunga consuetudine con il potere; neanche eccessivamente settari e faziosi. Animati da buona volontà.

A questo punto, il probabile Presidente del Consiglio incaricato, ossia Bersani, ha davanti a sé due strade: può riproporre la “strana” maggioranza, insieme al PdL ed al piccolo raggruppamento di Monti. Oppure può tentare di governare apparentemente da solo (alla Camera sarebbe autosufficiente), ma in realtà stringendo una preventiva intesa con il Movimento 5 Stelle, nel senso che questo gli garantisca la “non sfiducia”.

La strada della “strana” maggioranza è quella preferita da tutte le persone che finora hanno contato in questo Paese: questo sarebbe già un buon argomento per non intraprenderla. Nei fatti, significherebbe la “palude”, l’impossibilità di governare tra continui veti e ricatti. Il Partito democratico ne uscirebbe a pezzi e completamente screditato. Il Centrodestra, invece di annaspare tra i banchi dell’opposizione, ne uscirebbe rivitalizzato.

Nelle emergenze storiche bisogna avere il coraggio di osare cose straordinarie. Con i voti dei parlamentari del Movimento 5 Stelle si potrebbero approvare tante riforme di cui l’Italia ha disperatamente bisogno. A partire, nell’immediato, da una buona riforma della legge elettorale, basata sul voto in collegi uninominali, a doppio turno.

Si potrebbero approvare riforme costituzionali, ad esempio per ridurre il numero dei parlamentari, per rivedere l’attuale bicameralismo perfetto, per semplificare i livelli di governo territoriale. Riforme, ovviamente, aperte al contributo positivo dei parlamentari di tutte le tendenze, purché animati dalla volontà di servire onestamente il proprio Paese. Anche in campo economico, la proposta di un reddito minimo di cittadinanza potrebbe essere portata avanti, se non in forma integrale, almeno attraverso una buona e complessiva riforma del sistema degli ammortizzatori sociali. Dovrebbe poi essere facile, quasi scontata, la convergenza su obiettivi come quello di destinare più risorse alla scuola pubblica, anche attraverso un programma capillare di interventi nel settore dell’edilizia scolastica.

Per controllare davvero le dinamiche dei costi della politica bisogna essere all’interno delle più segrete stanze del potere e conoscere gli “arcana imperii”.

Personalmente, non vedrei male che alla carica di Presidente della Camera dei deputati fosse eletto un deputato del Movimento 5 Stelle, esattamente come avvenne nel caso della leghista Irene Pivetti (che svolse con scrupolo il proprio ruolo). Il voto dei parlamentari del Movimento 5 Stelle potrebbe servire, anzi essere determinante, anche per eleggere un buon Presidente della Repubblica; penso a possibili candidati come Romano Prodi, Stefano Rodotà, Vladimiro Zagrebelsky.

Cosa ci guadagnerebbe Beppe Grillo? Un posto nella Storia d’Italia e la gratitudine degli Italiani. E non è poco. Fatte le dovute proporzioni,si penserebbe a lui come a una sorta di nuovo Garibaldi. Altrimenti, se volesse percorrere la strada dell’avventurismo, del tanto peggio tanto meglio, dello sfascio, avrebbe sì un posto nella Storia d’Italia, ma con ben altro ruolo e ben diversa reputazione.

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