Vendere il Patrimonio dello Stato non utilizzato e ridurre le compartecipate

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MARTINA CECCO

Una scelta giusta, se non c’è la capacità di rendere produttivi questi investimenti.

Chi ha seguito la turbolenta vicenda che ha toccato direttamente alcuni esponenti politici di spicco lo avrà già capito: gran parte del patrimonio pubblico, consistente in magnifici palazzi e stupendi giardini è stato oggetto di famelico interesse all’accaparramento di sedi per partiti, sezioni staccate di ministeri e improbabili uffici creati ad hoc per “parcheggiare” questo o quell’altro amico del politico di turno, congelando di fatto il potenziale immobiliare in un Giardino dell’Eden che va a sommarsi ai già troppi privilegi dei politici.

Il problema del patrimonio immobiliare, che oggi tocca lo Stato, e un domani potrebbe toccare al Vaticano, è da sempre al centro dell’attenzione degli amministratori pubblici: patrimonio implica spese di manutenzione, utenze, servizi, che non trovano sempre soddisfazione in una pari o maggiore entrata economica che ne pareggi le uscite.

Non servirà a colmare il debito italiano, che oramai tutti hanno capito, consiste in un dato numerico ottenuto da un processo finanziario (quindi non dovuto a semplici spese ma sistemico), però servirà per almeno raggiungere l’obiettivo di tre buone prassi che ai cittadini dovrebbero interessare: il risparmio nelle spese di gestione dello Stato, la sobrietà politica e la riconduzione di una cosa pubblica che si limita alle funzioni pubbliche.

Quando si parla di risparmio e di vendita del patrimonio di Stato vanno fatte delle importanti considerazioni sull’entità della scelta: secondo una indagine conoscitiva curata dalla Commissione Finanze della Camera, sono oltre 543.000 le unità immobiliari di proprietà dello Stato, per un valore che oscilla tra 239 e 319 miliardi di euro a cui si aggiungerebbero anche i terreni pubblici adibiti a parchi o a zone di riserva, oltre che strade, parcheggi e piazze. Grazie al Governo Monti ci libereremo di soli 350 palazzi, messi in vendita a valori economici milionari, parliamo di 1.5 miliardi di euro, per i quali già è scattato l’interesse da parte di possibili acquirenti oltreoceano.

La Cosa Pubblica non è Cosa Privata ed è giusto che il punto di vista del cittadino che si preoccupa per la crisi economica e per i servizi che lo Stato eroga, prenda atto e specialmente si convinca che fino ad oggi l’Italia ha speso molti, troppi soldi in beni in fin dei conti di rappresentanza, che hanno il merito di riqualificare l’aspetto del paese, ma il demerito di non trovare sbocco economico. Per semplificare possiamo fare il solito e semplice esempio dell’acquedotto: se l’acqua che viene stoccata (dallo Stato attraverso il gettito erariale) si disperde alla base (trattenuta per spese pubbliche vive) è probabile che la quantità di acqua che arriva a coprire le necessità dei cittadini (servizi pubblici) sia inferiore allo sforzo che viene richiesto per raccoglierla (il pagamento delle tasse).

Viviamo in un sistema che lavora basandosi sul principio del diritto ai servizi pubblici gratuiti come le scuole dell’obbligo e la sanità e ai servizi pubblici partecipati come l’assistenza, l’acqua, i trasporti e l’informazione. Non tutti i sistemi sono uguali: il decreto liberalizzazioni, ad esempio, dimostra che ci sono opportunità per lo sviluppo economico che non dipendono direttamente dallo Stato e che possono avviarsi autonomamente.

Il rigorismo e la partecipazione dello Stato in settori che non dovrebbero competere direttamente il servizio pubblico, se sono adatti in regimi totalitari che si basano sulla equità del reddito e sulla redistribuzione della ricchezza (ad esempio in un sistema collettivo) non sono adatti a un sistema di competitività economica.

Questo perché succede: se da una parte erogare contributi e servizi a tutti crea uguaglianza perché consente a tutti di avere lo stesso servizio allo stesso prezzo, dall’altra invece mette a disposizione lo stesso servizio sia a chi potrebbe invece creare ricchezza pagandosi un sistema alternativo a quello pubblico, sia a chi invece non avendo risorse è costretto a vedersi tassato per servizi che non ha chiesto. Sarebbe economicamente più utile invece, rendere libero il mercato nei settori che non sono di competenza pubblica, consentendo sia a chi è più ricco che a chi è più povero di scegliere i servizi secondo il bisogno e le necessità, con meno tasse e più libertà.

Il problema politico che sta alla base di scelte libere è vincolato dal modo in cui sono state gestite le trattative tra Stato e cittadini nei passati governi: gli interessi della politica a sistemare le proprie pedine nei settori più in vista e la gestione a “mazzette” ormai denunciata pubblicamente che ha stabilito le priorità della politica, non sono solo state la rovina di una Italia ufficialmente sul bordo del tracollo economico .. ci salveremo solo ed esclusivamente perché la crisi non è la malattia, ma solo il sintomo .. bensì sono state la rovina del mercato e della imprenditoria: fare impresa in Italia è diventato quasi impossibile, e con la entrata in vigore dell’Euro, ciò che prima era limitato dal mercato è anche stato spazzato via dalla concorrenza europea, già pronta per questo passo.

L’Italia non era pronta ad affrontare il mercato unico perché vi è entrata senza prima avere pensato a un progetto economico unitario .. la povertà delle casse dello Stato e la decrescente industria erano già due problemi prima dell’arrivo dell’Euro, che ha poi determinato inflazione, aumento del debito, aumento dei costi della vita. Se entrare in Europa era necessario per dare forza alla nostra moneta .. la truffa europea ha comportato anche un grande sacrificio che ha messo a dura prova il nostro sistema.

Siamo chiamati a prendere atto che i problemi interni alla nostra economia vanno risolti proprio colpendo le lobby, le caste, i privilegi, eliminando il superfluo, restituendo alla politica e allo Stato il ruolo di governare e togliendogli invece la gabbia economica in cui ha costretto le imprese e le professioni.

Il garantismo politico è diventato una professione ambita, la politica ha acquisito potere nei settori del privato e avvallata alla bisogna dal qualunquismo sinistro di chi sa bene come fare vedere la luna nel pozzo a chi sogna la piscina a idromassaggio gratis per tutti .. al posto di fare l’interesse di tutti .. ha solo affondato radici dove ci sono possibilità di guadagno .. bevendo quanta più acqua possibile e lasciando di fatto il paese fermo nelle sue difficoltà.

Ritornare è un gesto suicidia. Abbiamo tutti gli elementi per poter chiedere il rispetto, la sobrietà e il diritto a una politica ben fatta. Diritto a lavorare e a fare impresa, senza per questo essere considerati dei reazionari. Diritto a studiare e a mandare i nostri figli all’estero con la certezza che al ritorno troveranno anche in Italia un lavoro qualificato. Ci siamo liberati di 350 palazzi? Ben fatto .. cerchiamo di liberarci anche del marciume che intasa l’economia, con lo stesso rigore e la stessa determinazione.

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