La scelta di libertà dei cristiani d’Africa: il martirio

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AUSILIA GUERRERA

Sono trascorsi pochi giorni dall’ultimo bagno di sangue in Africa. Questa volta l’epicentro del fondamentalismo islamico è stato il Kenya e non la Nigeria. Molti eventi sono accaduti prima di domenica scorsa, quando due chiese, in Kenya, sono state colpite da due attacchi terroristici. E alla liturgia della messa è subentrata la macabra liturgia della jihad, ed è sgorgato il sangue delle vittime innocenti, ai piedi dell’altare, compiendosi l’olocausto di agnelli sacrificali dei testimoni della fede: i nuovi martiri del XXI secolo. Cronaca di una morte annunciata la recrudescenza dell’intolleranza religiosa, in Nigeria e in Kenya, di un problema internazionale, sia perché scuote la coscienza del mondo cattolico come delle associazioni umanitarie  e degli osservatori internazionali di tutto il globo – Amnesty International ha parlato di “criminalizzazione della povertà” –  sia per una questione di equilibri politico-strategici.  

La rappresaglia dei fondamentalisti islamici, non ha colpito solo le chiese cristiane, ma anche, tempo fa, la sede dell’ONU nel quartiere diplomatico della capitale federale nigeriana, Abuja, in quanto obiettivo sensibile della jihad; la guerra santa cerca di creare un clima di terrore, atto a inficiare nella loro sostanza, a sfiduciare sfibrare fiaccare nei loro intendimenti, nelle loro finalità, le associazioni umanitarie internazionali, che agiscono nel Paese, in nome della pace e per la pace, per la democrazia e per la civiltà, a difesa dei più deboli. Un’escalation di stragi e attentati, con morti e feriti, è in atto. La rivendicazione della  setta islamica Boko Haram, che in lingua haussa significa “l’educazione occidentale è un peccato”,  inneggia alla jihad, per imporre la Sharia nelle regioni del nord e infine del sud della Nigeria, dove quindi il federalismo, nei fatti, non è una risorsa né una risoluzione, né un freno né un deterrente, per una convivenza civile fra le comunità religiose; sfidate da un fondamentalismo che cerca di dividerle per egemonizzare la regione, le une contro le altre armate. Intenti politico-strategici, motivazioni economiche serpeggianti, di una guerra di religione dove di religioso non c’è nulla, se non il suo esatto contrario – odio, rancore, sete di dominio e prevaricazione delle minoranze reiette –  e la religione è solo il pretesto, antico e abusato, come il vessillo sbiadito da incendiare e incenerire, proprio laddove e mentre viene sbandierato dalle comunità cristiane. Le minoranze, sono pedine che confliggono spesso fra di loro o che soccombono inermi, abbattute dai kamikaze-attentatori, i quali fanno dei fedeli carne da macello, vittime del diffuso clima di odio contro i sacerdoti. 

Mentre l’assimilazione di Islam e terrorismo, finisce con il confonderle nell’opinione pubblica locale  e nell’immaginario coevo, come se il culto  di fede musulmano avesse subito una metamorfosi negativa, per la creazione di quella produzione di senso e significato negativi, che si chiama terrorismo. Le comunità musulmane  dissociate nei fatti e a parole dagli attacchi, sembrano non riuscire a scrollarsi di dosso l’immagine cruenta e folle, che opprime e snatura il loro credo, facendone un culto cieco e irrazionale, manipolato da un terrorismo internazionale, il quale, inneggiando alla religione, oppio dei popoli da sempre per l’indubbio controllo delle coscienze, progetta di assoggettare intere regioni nigeriane e non, per imporre la Sharia, la legge islamica. Questo quanto rivendicato, ufficialmente, da Boko Haram, il fondamentalismo locale, che se ne assume  la matrice l’ideazione e la piena responsabilità del misfatto vile, del genocidio religioso-ideologico. Fenomeni come Boko Haram nascono fondamentalmente contro e non per, se non unicamente a pro della loro meschina causa; questa è la loro istanza: andare contro, per statuto, per affermare un totalitarismo militare, che non gli consentirà però di plasmare le coscienze e di attecchire nell’immaginario collettivo e infine radicarsi nelle strutture e nelle istituzioni territoriali.      

Difficile fare la somma delle stragi, ancor di più contare i  morti e i feriti dell’eccidio. Idem per gli appelli dell’Onu e del Vaticano, ferite nelle loro sedi, ufficiali e di culto, e, cosa ancor più grave, nel cuore dei loro moventi, profondi e umanitari. E per ciò stesso, obiettivo sensibile. Un inferno coinvolge vite innocenti, sentimenti religiosi e interessi. Un gorgo oscuro inghiotte le domeniche ferventi di vite umane, senza lasciar trapelare un ragionevole margine di speranza; è il massacro di inermi, di poveri diseredati, icone  del nuovo martirio del XXI secolo. La cui vicenda riporta indietro di millenni, all’epoca delle persecuzioni romane delle nascenti comunità cristiane. Di convivenza civile neanche a parlarne, premessa che andrebbe faticosamente ricercata. È un tempo nefasto per la Chiesa, travolta dal Vati-lieks e dalle iterate stragi dei fedeli africani, contro cui nulla  si può, tranne richiamare l’attenzione internazionale. 

Forse, le notizie, quelle vere, restano impubblicabili… È una storia di odio, di morte, di eroismo e di sopravvivenza. È la  storia incredibile di come cristiani si immolino per testimoniare la loro fede. E di come alcuni di loro, con coraggio, con dignità e un’inesauribile volontà di vivere, siano sopravvissuti e continuino ad officiare messe. La guerriglia e la persecuzione, una storia a doppio filo, che racconta due civiltà parallele allo scontro, trascinate in un vortice di rabbia e di esaltazione assassine. L’amore fanatico per la jihad, l’ambizione sfrenata, morbosa, una devozione alle armi e una sete di eccidi insensati e folli, approva e giustifica come necessario l’annientamento dei cristiani. La comunità cristiana oppressa dalla paura dei fanatici blitz omicidi, sfida, con orgoglio e temerarietà, ogni domenica, nel nome del Signore, la morte, in un mondo accecato da passioni tremende, in cui l’uomo non conosce umanità per il suo simile. Alle comunità africane più che mai, più che a un occidente opulento, dove la messa domenicale raramente fa il plenum di fedeli – disertata da “spettatori” distratti, spesso frettolosi e annoiati dei riti cattolici, per cui a maggior ragione risalta il sacrificio umano dei nostri fratelli di fede –  sembra affidato l’autentico messaggio di fede. Nonostante tutto. Perché testimoniano, la fede in Cristo, meglio di chiunque altro in Occidente, con le sue chiese semideserte dove le litanie si s-perdono,  echeggiando fra le navate vuote.

Chi di noi sarebbe disposto a mettere a repentaglio la propria vita pur di andare a messa, sapendo di potere essere il bersaglio prefigurato dall’arbitrio di forze oscure? Domanda retorica, che lascia il tempo che trova… A loro è affidato il messaggio di fede, nella vita e nella libertà, fra il sangue e la schiavitù di una tragedia che non può essere dimenticata e sottaciuta, dove l’orrore e l’amore per la fede si alternano; mentre l’orma dell’eccidio si propaga di comunità in comunità cristiana, di regione in regione, per la sete di vendetta e la lotta per il potere, filo conduttore della violenza. Difficile sognare un futuro di democrazia e prosperità per l’Africa, se le tribù guerrigliere – banda di avventurieri emotivamente instabili – non conoscono che odio e desiderio di sopraffazione; un fronte ostile incapace di sentimenti umanitari, mentre i cristiani  si battono e professano la pace (innamorati della vita e della verità), per assicurare ai più deboli un domani. L’amore per la libertà individuale e per i diritti inalienabili dell’uomo, della ragione e della religione, in quelle latitudini della terra, non è assodato. Tutt’altro. Istanze, esigenze considerate un’arditezza, una novità che non deve avere il tempo di propagarsi. Un fuoco da spegnere col fuoco delle armi.

Il Cristianesimo perciò è straordinario, per l’arditezza e la mitezza della fede. Non ha lo stesso valore, la nostra libertà, assoluta e inviolabile, che  si respira gratuitamente, rispetto alla schiavitù e al martirio di quelle minoranze, e al loro profondo senso e anelito di libertà.  Per questo non può calare il sipario sulle persecuzioni dei cristiani. La sola ritorsione necessaria consentita non è la difesa e il linciaggio di presunti attentatori musulmani, intercettati fra la folla (pur legittima), ma la religione da vivere e  da strappare alla violenza. Questa, sì, sarebbe l’unica vittoria consentita, libera e vera, contro il fondamentalismo, spacciato per un Islam triste lugubre e sanguinolento.

Perché la vox populi non è sempre la vox dei, e viceversa.

 

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