Le ali del sindacato

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Credo che il commento di Battista sul Corriere (Lunedì 15 settembre) sia il modo migliore per cominciare l’analisi di questa giornata, in attesa di avere informazioni più incoraggianti da Wall Street che spirino aria fresca sulle borse europee alla loro riapertura di domani. La “buona fede” di chi ha sbagliato non può modificare il nostro giudizio su quanto essi hanno ottenuto. Non possiamo rivalutare – soprattutto a distanza di anni – chi ha causato danni morali, sociali ed economici, solo perché erano – forse – in “buona fede”. Tale considerazione non dovrebbe unicamente valere unicamente per la storia e il tentativo in corso di “rivederla”.

Dovremmo applicarla anche alle azioni presenti, le cui conseguenze ci colpiscono negativamente. Questo vale soprattutto per la politica, dove con la scusa “di pensare a fare del bene” si fanno danni inimmaginabili, come nel caso Alitalia. Governo e opposizione sono in “buona fede” ma hanno ridotto questo paese nelle condizioni in cui si trova oggi. E’ moralmente corretto dare torto a chi ha sbagliato, anche se fosse stato in buona fede. L’attenzione della giornata è stata tutta rivolta alla ormai ex-compagnia di bandiera. Come si prevedeva, si è arrivati ad un accordo che accontenta alcuni e lascia fuori gli altri, generando un clima di malcontento che, crediamo, sarà “riparato” nel tempo. Non è ancora chiaro quali sono le condizioni finali, ma è evidente che i sindacati hanno portato a casa più di quanto sperassero fino a ieri. Sono abili negoziatori. Di fronte si sono trovati un giocatore che voleva giocare a tutti i costi a prescindere dall’esito, ‘importante era giocare (in fondo i soldi non sono del governo).

Il Governo ha promesso di “salvare la compagnia di bandiera”, i sindacati si sono ripromessi di mantenere il più possibile il peggio di quanto è stato mantenuto fino ad ora. Capiremo nelle prossime ore, meglio ANCORA capiremo nei prossimi mesi, quanto è costato questo accordo e chi lo paga (questo ahimè già lo sappiamo). Quello che è certo è che la CAI nasce come la Telecom, nome E piano di sviluppo nuovi, uomini identici. Stessa logica: ricavi privatizzati, perdite pubbliche. Sarà interessante seguire come un’azienda, che vorrebbe svilupparsi come le normali aziende private per poi essere venduta, possa sopravvivere con gli stessi protagonisti del disastro Alitalia. Riuscirà la cordata di imprenditori guidata da Banca Intesa a farli finalmente lavorare secondo logiche di mercato e senza privilegi? Il dubbio c’è e Telecom resta l’esempio. Anzi l’invito è proprio a guardare alla Telecom di oggi e soprattutto chiedere agli spagnoli. Mentre i dipendenti di Alitalia insoddisfatti protestano sotto i Palazzi romani, Alemanno ha chiesto maggiori forze di sicurezza. Ma non è stato uno tra i sostenitori dell’esercito in strada? A quanto pare, come avevamo previsto, l’esercito in strada non è servito. E’ stata una pura azione di comunicazione, mediatica, e percettiva.

Le nuove affermazioni dimostrano ancora una volta che il vero problema non è la criminalità – a proposito dove sono i dati veri sul crimine? – ma la riforma – finalmente – del sistema delle forze dell’ordine. A questa andrebbe anche aggiunta la revisione del ruolo dell’esercito. Abbiamo troppe forze dell’ordine, disperse in sigle, ciascuna delle quali sperpera le poche risorse in privilegi e strutture di comando, mentre viene completamente a mancare la risorsa per la gestione e il controllo del territorio. La proposta è chiara: una sola forza d’ordine, con una sola struttura, un solo comando. Per l’esercito è bene chiedersi a cosa serva oggi e quali siano i pericoli reali che corre il nostro paese, considerando che non siamo disposti ad attaccare nessuno. Rispondendo a queste domande ci accorgeremmo che gli obiettivi dell’attuale esercito vanno rivisti e di conseguenza va ristrutturato l’intero settore.

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