Italia: centocinquanta anni di vita, duemila anni di storia

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di MICHELE MARZULLI

L’Italia, una striscia di terra a forma di scarpone che, da quando l’uomo ricorda la propria età dell’oro, ha sempre segnato gli sviluppi della storia.
Un paese ricco, annoverato tra le grandi potenze del mondo.

Il luogo in cui sono nati i Codici, dove è nata la Legge scritta, dove dimora Madre Romana Chiesa.
Un paese in cui i lavoratori guadagnano uno stipendio medio annuo pro-capite di svariate migliaia di euro inferiore alla media europea, dove il carico fiscale e contributivo supera spesso il cinquanta percento della busta paga, dove quasi il trenta percento delle tasse e balzelli viene evaso ed in cui la maggior parte dei pensionati è proprietario delle proprie abitazioni le quali, per inciso, spesso hanno un valore pari, se non superiore, alla somma di tutti i redditi percepibili mediamente durante la loro vita lavorativa.

Un paese dove l’inflazione è controllata e viene simboleggiata da numeri che non raggiungono mai quello delle dita di una mano, mentre il costo per l’acquisto dei beni primari (come pasta, frutta, verdura, carburanti, locazioni, ecc.) “sembra” essersi raddoppiato nel corso di qualche anno.

Un paese che, nonostante tutto, è rappresentato come il paese del bengodi, il paese della dolce vita, della dieta mediterranea, dell’arte e della moda, meta di ogni disperato in cerca d’approdo, sogno di tutti quegli esseri umani che vivono dall’altra parte del mondo, dove la sopravvivenza è un incubo.

Un paese abitato dall’ homo italicus, bipede nato libero allo stato brado, divenuto abile coltivatore, poi pastore, poi guerriero, poi giurista, …poi cittadino, mafioso ed, in fine, suddito. Da sempre maestro dell’antica “arte di arrangiarsi”, arte reale, adogmatica, egualitaria, sviluppata per necessità di sopravvivenza e divenuta, nel corso degli anni, unica opzione contemplabile, decadendo in “arte della corruzione”, pura idiosincrasia alle regole, ideale piegato piegato dall’ipocrisia di un sistema normativo ormai concepito sempre più come sistema di controllo del potere che come sviluppo all’emancipazione ed all’iniziativa.

Un paese paralizzato, che festeggia centocinquanta anni di parrucche e vecchi gonfaloni, dimenticando gli ideali alla base di quel movimento rivoluzionario che ne pose i presupposti delle origini e la cui sostanza fu troppo presto sterilizzata ed addomesticata dalle lusinghe della forma.

Un paese che andrebbe liberato dalla propria storia, troppo pesante, troppo ingombrante, troppo dogmatica e lontana dalla realtà contemporanea; dai propri politici, anch’essi troppo pesanti, ingombranti, dogmatici e lontani dalla realtà che li circonda; ma che, più di tutto, andrebbe liberato dagli italiani, troppo grassi e pesanti, dogmatici e lontani da quel resto del mondo che, forse per ignoranza, mancanza di storia, di civiltà, o per pura eresia, non guarda più ai dogmi ed al passato, ma cerca disperatamente il passo giusto per procedere verso il futuro, per costruire la storia, più che per insegnarla nei libri di scuola.

L’Italia, tuttavia, è il nostro paese e senza gli italiani non avrebbe senso, quindi, malgrado tutto e tutti, malgrado la storia ed il mondo, malgrado la crisi economica e la globalizzazione, andremo avanti lo stesso e a domande del tipo “Come ci risaneremo? Come potremo ritornare quelli di una volta? Quando?”, risponderemo, come sempre, sospirando, “S’ha da aspettà. Ha da passà ‘a nuttata…”.

Ma, prima o poi, ci daremo da fare?

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