Majid Tramboo: tra attivismo e lobbysmo (parte 1)

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di ANTONIO PICASSO

«Sono un avvocato e quando vivo a Londra faccio il mio mestiere. Qui a Bruxelles, però, la mia giornata resta concentrata solo sul Kashmir». Majid Tramboo ha il carisma dei principi kashmiri e la dimestichezza con le istituzioni europee che è propria dei grandi barrister d’oltremanica. Avvocato appunto, attivista per l’autodeterminazione del Kashmir, è presidente del Mashmir Centre, basato a Bruxelles. Lui però è cittadino britannico. Nato a Srinagar, nel Jammu Kashmir, ma da lì esiliato per il suo impegno politico contro New Delhi. La causa per la quale si batte è il nocciolo dell’intero conflitto tra India e Pakistan. È il nodo gordiano che nessuno è stato ancora in grado di sciogliere per cui il centro-sud Asia resta l’epicentro delle maggiori crisi internazionali. Difficile infatti, agli occhi dei più maliziosi, non collegare la questione kashmira con l’Af-Pak war e il suo corollario di criticità (al-Qaeda, movimento talebano, attentati terroristici in India e Pakistan). Tuttavia, nell’opinione generale, altro non è che un conflitto dimenticato.

«Ci sono due tipologie di autodeterminazione», spiega di fronte a un’immensa porzione di pollo tandoori. Con gli maharaja la politica si sposa per forza con cene pantagrueliche. «Nel mondo ci sono minoranze che combattono per ottenere il riconoscimenti di una propria identità all’interno di uno Stato del quale già fanno parte. E poi ci sono le nazioni, i popoli che meritano l’indipendenza». È eloquente il gesto che, con la mano destra, va verso se stesso e poi distende in un abbraccio verso i suoi connazionali seduti intorno allo stesso tavolo. «Il Kashmir non è mai stato India, nemmeno sotto il dominio britannico. La scelta di finire sotto la giurisdizione di New Delhi è stata dettata dall’infausta scelta di Hari Singh (l’ultimo maraja davvero regnante a Srinagar, ndr)».

Quel che colpisce di Tramboo Sahib è l’energia. Una forza che sembra non volersi esaurire nel promuovere la propria causa. Sua e dei suoi fratelli della diaspora kashmira. Solo in Gran Bretagna è di un milioni di unità la comunità kashmira. Il presidente del Kashmir Centre spiega, racconta, prende iniziative. Non perde mai occasione di essere professionale e informale insieme. La sua eleganza è fatta di abiti confezionati a Savile Row e gemelli con immense acquamarina. Negli anni ha costruito un network di conoscenze e lobby che ben poche altre minoranze possono sfoggiare. Bruxelles, Londra, Washington. Senza contare la presenza di suoi uomini nelle capitali dei Paesi scandinavi, ma anche in Olanda e Germania. Vale a dire dove gli emigrati da Kashmir e dal Pakistan hanno formato importanti comunità etniche. A queste va aggiunta la presenza mensile a Ginevra, al Consiglio Onu per i diritti umani. Il Kashmir Centre organizza manifestazioni di piazza, simposi, dibattiti. Promuove attività mediatiche che fanno da ponte tra l’Occidente e il suo Kashmir. Sia quello indiano sia quello sotto controllo del Pakistan.

Ed è a Bruxelles che l’organizzazione capitanata da Tramboo ha appena concluso la sua ultima settimana di manifestazioni presso il Parlamento europeo. Qui Tramboo è stato in grado promuove la nascita di un gruppo informale di 75 parlamentari che premono per una risoluzione del conflitto. «È un argomento, questo, che dovrebbe interessare anche l’India. Se davvero vuole entrare a far parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu come membro permanente». A giudizio di questo tempestoso avvocato, però, ci vorranno almeno ancora dieci anni prima di vedere alcuni risultati. Realismo e passione quindi. Majid Tramboo sa bene che il suo Paese non potrà trovare la pace in tempi brevi. Nonostante l’impegno speso sia di proporzioni importanti.
Tuttavia, è l’oggi quel che preme alla comunità internazionale.

Anche in questo caso, Tramboo ha la risposta. La sua risposta, si intende. «Non si può pensare di continuare a non prestare fiducia al Pakistan», spiega. Ovviamente è a Islamabad che il Kashmir Centre vanta la sua rete di amici influenti.

«Fino a quando il Pakistan verrà trattato come un fuori-casta, l’intero contesto regionale, quindi non solo il Kashmir, resterà un punto critico e un focolaio di guerra». È un punto, questo, su cui si è soffermato anche Chris Davies, europarlamentare britannico, lib-dem, intervenuto all’ultima Kashmir Eu Week. «Bisogna cambiare passo e riprendere il dialogo costruttivo con i governi di tutta la regione».

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