Liberali di nome e di fatto

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di Luca Bocci

Sull’antro il reportage semi-serio del primo Tea Party a Milano. A tutti quelli che non c’erano, posso solo dire: non avete idea di cosa vi siete persi. Un Martino così combattivo non lo si vedeva almeno dal 1994. Tea Party Italia annuncia il passaggio dalle sale congressi all’attività di piazza. Si parla di documentazione, struttura e strategia. You ain’t seen nothin yet.

Piccole rivoluzioni crescono, silenziose ma mortalmente serie. Ieri sera, nell’aula che l’Università Bocconi di Milano aveva concesso ai ragazzi dell’organizzazione della European Liberty Conference, folla delle grandi occasioni per il primo evento a livello nazionale di Tea Party Italia.

Ospiti di prestigio, tanto interesse, studenti, ex liberali, radicali, conservatori, un piccolo spaccato di quell’umanità resistente che, nonostante tutto in questo paese sembri andare a rotoli, si ostina a credere e lavorare per un futuro migliore, più libero e responsabile. Insomma, tanta bella gente, non solo in sala ma anche fuori. Non proprio “standing room only”, ma poco ci mancava. Visto il periodo e la poca attenzione dei media, impegnati a seguire le solite risse di bottega o di palazzo, non ci si può proprio lamentare.

Il panel dei relatori era decisamente interessante: presenti erano Jim Lark, professore d’ingegneria statunitense segretario nazionale del Partito Libertario dal 2000 al 2002, tuttora molto impegnato nel coordinamento delle attività del partito nei campus universitari; Marco Respinti, saggista, traduttore e giornalista per “Libero”, “Il Tempo” e “Il Foglio”, membro di numerosi centri studi oltreoceano nonché presidente del Columbia Institute di Milano; Antonio Martino, insigne economista a livello mondiale, nonché fondatore di Forza Italia, eminenza grigia del rivoluzionario programma di governo del 1994, ministro degli esteri e della difesa.

Apre le danze, dopo l’introduzione di Luca Mazzoni, rappresentante del comitato organizzatore della European Liberty Conference, Giacomo Zucco, responsabile di Tea Party Milano e del coordinatore nazionale di Tea Party Italia David Mazzerelli, Jim Lark: il suo intervento in inglese (le offerte dell’Apolide per una simultanea al volo sono state rifiutate dicendo “pensa a fare le foto”. La prossima volta lascio a casa macchina fotografica e telecamera, anche perché il maledetto zainetto pesava mezza tonnellata) è stato incentrato sull’esperienza del Tea Party americano ed ha offerto preziosi consigli ai ragazzi di Tea Party Italia su come muoversi di qui in avanti per ottenere risultati nella difficile realtà italiana.

Il succo dell’interessante intervento, intramezzato da gustose battute, si può riassumere in un consiglio molto saggio: per vincere bisogna curare bene il territorio e resistere alla tentazione di espandere lo scopo del movimento. Praticamente il “keep your eyes on the ball” che il vostro umile padrone di casa ripete da mesi. Fa sempre piacere notare che persone con molta più esperienza del sottoscritto la pensino allo stesso modo.

A prendere la palla subito dopo è Marco Respinti, che parla di come il movimento in America stia raggiungendo risultati eccellenti proprio perché riesce a concentrare la propria attenzione esclusivamente su tematiche fiscali e legate alla riduzione dell’interventismo statale nell’economia e nella società. Anche lui fa notare come le battaglie economiche, almeno in questa fase, debbano assorbire tutte le risorse dei Tea Parties sparsi in mezzo mondo: le altrettanto importanti tematiche sociali e morali dovranno attendere il proprio turno. First things first. Perfettamente d’accordo, come succede spesso e volentieri. Viene da pensare che se tutti i giornalisti italiani fossero intellettualmente onesti e sagaci come Marco, trattare con la stampa sarebbe un affare decisamente più piacevole, ma sto divagando come mio solito.

Dopo la chiusura dell’intervento di Marco Respinti, gradita sorpresa: a parlare per un rapido saluto ed un sentito incoraggiamento è Alessandro De Nicola, editorialista del “Sole 24 Ore” e docente di diritto amministrativo all’Università Bocconi. Dopo la sua partecipazione al Tea Party di Torino in teleconferenza, De Nicola si è detto finalmente lieto di poter vedere in faccia il pubblico, visto che a Torino non era stato possibile. Il dipartimento IT di Tea Party Italia ha ancora molto da lavorare, ma stanno migliorando. Anche lui si è detto lieto di notare come siano i giovani a guidare questo movimento, senza aspettare “il proprio turno”, come spesso succede in politica. Il resto dell’intervento proprio non me lo ricordo: la vecchiaia avanza…

Infine, il pezzo forte della serata: il pirotecnico intervento di Antonio Martino, liberale di nome e di fatto che ha colto l’occasione del Tea Party di Milano per riprendere il posto di preminenza che gli spetta di diritto nel panorama asfittico del liberalismo italiano.

Riassumere un discorso tanto appassionato, sentito e mortalmente efficace come quello del Professor Martino sembra un crimine, ma mi sforzerò di farlo, sperando che gli amici del Tea Party Milano abbiano provveduto a registrarlo e lo stiano mettendo in rete. Oltre a ricordare come lo spirito del 1994 non fosse una sceneggiata, ma qualcosa di veramente rivoluzionario, il titolare della tessera numero 2 di Forza Italia (fa sempre piacere ricordarlo, specialmente quando qualcuno, all’interno del PdL, considera noi liberali una specie di corpo estraneo) ha parlato di come anche misure non ideali come la riduzione delle aliquote a tre fossero fallite in Parlamento durante i pochi mesi della splendida esperienza del primo governo Berlusconi.

Finalmente sentiamo il Martino che ricordavamo ed adoravamo ai tempi della rivoluzione liberale. L’evasione? Non è che un problema marginale. Gli evasori sono pochi temerari che rischiano le conseguenze severe previste dal Codice Penale. Il problema vero è chi, in maniera perfettamente legale, elude grandissima parte delle imposte, riducendo in maniera spudorata il suo reddito a livelli quasi ridicoli. Il Professor Martino ricorda come, secondo i dati ufficiali, una persona come lui faccia parte del 2% più ricco del Paese. “Vivo nella stessa casa da 30 anni, affitto la solita casa all’Elba per le vacanze da 30 anni. Mi sono concesso un lusso, una barca di 9 metri aperta. Possibile che sia più ricco di chi ha i mega-yacht?”.

Poi un affondo al vetriolo contro un “famoso tributarista” del quale l’Onorevole Martino tralascia di fare il nome. “Possibile che il titolare di uno degli studi commercialisti più grandi del Nord Italia, ministro della Repubblica, dichiari solo 39.000 euro di reddito? Com’è possibile, visto che lo stipendio da ministro è quasi dieci volte più alto?”. Tremendino, impegnato com’è nella spartizione del potere, non se ne sarà nemmeno accorto, ma la sua “contabilità creativa” privata non è passata inosservata. E per questo non serve nemmeno un dossier, basta leggere i dati pubblicati dal Parlamento.

Chiusura finale da brividi: “mio nonno era liberale, allora il peso dello stato era del 10% del PIL. Mio padre era liberale; negli anni ’50, il peso dello stato era salito al 30% del PIL. Io sono liberista, oggi il peso dello stato è al 50% del PIL. Mia figlia è anarco-capitalista. Mio nipote sarà anarchico e basta, andrà a tirare le bombe!”. Applausi a scena aperta, convinti, entusiasti. E poi dicono che i liberali italiani non sono in grado di produrre politici di livello. Se questo non è un politico di razza, chi dovrebbe esserlo? I fanfaroni illetterati? I capipopolo tutti cadrega e manuale Cencelli? I populisti sgangherati?

Verità assoluta, professor Martino. Il fatto che posizioni ragionevoli, che sarebbero considerate di buon senso in un paese normale, siano definite sempre più come estremiste, vuol dire che ad alzare l’asticella non sono i cattivi liberali ma la disastrosa avanzata dello statalismo. La stazione finale, lo scontro frontale, arriverà per forza, anche se tutti noi la pensiamo in maniera diversa. Prima o poi, anche la infinita pazienza del popolo italiano si esaurirà ed allora saranno guai seri per statalisti, socialisti, paternalisti, burocrati, raccomandati e figli di.

Le considerazioni dell’Apolide sull’evento le riservo per un prossimo intervento, più ragionato. Per ora posso solo dirvi di aver incontrato tanta bella gente al Tea Party di Milano. Niente gne-gne, niente salottieri, niente gente con la puzza sotto il naso, al massimo qualche giovane entusiasta che flirta con l’elitarismo e si atteggia a “minoranza illuminata” ma sono cose che si perdonano, specialmente quando i giovani in questione, oltre all’entusiasmo, portano pure capacità e competenza. Il resto dei partecipanti? Giornalisti amici come Stefano Magni, gente con tanta politica alle spalle come Salvatore Antonaci o Mario Caputi, giovani liberali in prestito al PdL, ex radicali, cattolici liberali, conservatori. Nell’aria una gran voglia di darsi da fare, di combattere contro il declino della società e del Paese.

Mentre il resto del mondo si inventa buffonate come il “socialismo liberale” o annuncia l’ennesima rivoluzione liberale di cartapesta, sotto le ceneri del liberalismo italiano riprende vigore la fiamma dell’identità, l’orgoglio degli ideali, il coraggio di testimoniarlo in un mondo drogato di statalismo e perseguitato dalla dittatura del politically correct. C’è chi si dice liberale per calcolo politico. Ieri sera, a Milano, c’erano tanti liberali di nome e di fatto. Può sembrare poco, ma di questi tempi può essere la migliore notizia per il nostro sgangherato Paese. Un’altra politica è possibile. Coraggio, gente.

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