Giustizia: il Governo Berlusconi non è credibile

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di ENRICO GAGLIARDI

La condanna a 7 anni di reclusione inflitta a Marcello Dell’Utri da parte del Tribunale di Palermo ha ovviamente scatenato una serie infinita di polemiche in primo luogo politiche (e non poteva essere diversamente) ma in subordine anche di natura giuridica.
In tanti, giuristi e non, si sono (spesso maldestramente) cimentati nell’analisi tecnica del reato di concorso esterno, riproponendo discussioni affrontate già dalla giurisprudenza e della dottrina penalistica del nostro Paese.
In attesa delle motivazioni qualunque tipo di commento sulla sentenza del Tribunale di Palermo sarebbe inutile se non addirittura controproducente; meglio dunque partire proprio da quella decisione per fare luce sull’enormi contraddizioni in cui puntualmente cade l’attuale maggioranza di Governo in materia di giustizia.

Senza ombra di dubbio il reato di concorso esterno rappresenta oggi un vero e proprio abominio giuridico, una fattispecie creata a tavolino da una giurisprudenza spesso schizofrenica della Corte di Cassazione. In altri termini si parla di un illecito che in spregio dei più basilari principi costituzionali in materia di diritto penale non è previsto dal nostro codice sostanziale rappresentando bensì l’unione di due diversi reati: il 416bis (associazione di stampo mafioso) e il 110 (concorso di persone nel reato). Una disposizione che insomma si pone al di fuori del nostro ordinamento il quale, proprio a garanzia dell’imputato, sancisce solennemente il principio di tassatività della legge penale, in base al quale “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge.”

Risulta chiaro come nei fatti sia estremamente difficile affrontare processualmente una disposizione del genere, con ricadute pesantissime anche sul diritto alla difesa costituzionalmente garantito.
Non poche persone sono passate sotto le forche caudine di questa tortura giuridica (dal giudice Carnevale all’ex super poliziotto Contrada), qualcuno riuscendo a cavarsela altri invece con esiti decisamente meno positivi.

Fatta questa premessa però, obbligata per chi in qualche modo crede in una visione garantista e liberale della giustizia penale, bisogna mettere in luce come tali critiche risultino poco credibili, se non addirittura pretestuose nel momento in cui provengono dai banchi del Governo o dagli esponenti della maggioranza.
Silvio Berlusconi infatti, tranne che per poche parentesi, governa questo paese ininterrottamente dal 1994, spesso con maggioranze schiaccianti in Parlamento. Da altrettanti anni promette una riforma liberale della giustizia. Le sue parole però non hanno mai avuto un seguito fattuale; a parte una congerie di norme sgangherate, spesso illiberali e nella migliore delle ipotesi scritte malissimo che hanno solo contribuito a mettere ancora più in crisi il nostro sistema penale, l’attuale Premier non ha mai voluto assumersi la responsabilità di farsi promotore di una riforma organica dell’intero sistema.

I roboanti annunci (abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, riforma delle impugnazioni, separazione delle carriere, solo per fare qualche esempio) sono rimasti tali, salvo essere puntualmente riproposti in determinati momenti chiave. Il recente caso Dell’Utri ne è l’ennesima prova.
Il Presidente del Consiglio insomma ha sempre concepito la riforma della giustizia come uno scontro frontale, come una partita, con la magistratura organizzata invece di affrontare l’argomento in maniera istituzionale.
Questo Governo in altre parole in materia di giustizia ha fallito su tutta la linea, dimostrando (sono i fatti a dirlo) di non voler incidere ed estirpare un bubbone ormai sempre più preoccupante ed intollerabile.

2 COMMENTI

  1. Solo per completezza aggiungo che non appartengo certo alla categoria di coloro che si illudono di estirpare i problemi solo per via penale. Ma di certo la via penale può produrre dei passi avanti.

  2. Ho letto l’articolo dopo essermi trovato d’accordo, pienamente d’accordo con il titolo: Berlusconi non è credibile, quando parla di giustizia. Immaginavo che si riferisse al fatto che Berlusconi ha a cuore il problema giustizia solo perché ansioso di liberare se stesso e i suoi amici dall’incombenza dei processi a carico, come qualsiasi osservatore onesto, assennato e dotato di senso logico non può ignorare traendo spunto dalla cronaca quotidiana. Ma invece di leggere qualche riflessione sullo scandalo di un premier la cui principale preoccupazione sembra l’impunità penale, sono qui a commentare le parole di chi accusa Berlusconi di non aver fatto abbastanza, di non aver “estirpato il bubbone preoccupante e intollerabile” che affligge la Giustizia italiana. E quale sarebbe il bubbone? Dall’articolo si evince che il bubbone sarebbe il reato di derivazione giurisprudenziale del concorso esterno in associazione mafiosa.
    Ciò che mi stupisce è la ristrettezza argomentativa che l’autore ha usato per scagliarsi con animosità contro il concorso esterno, adducendo soltanto motivazioni di tipoo giuridico. Ristrettezza mentale o mancanza di argomenti? Io alle valutazioni giuridiche aggiungerei una riflessione sull’utilità per la collettività di questa fattispecie e cioé: è un bene o un male, per la società, che tale reato esista? Io non avrei dubbi nella risposta, visto che tutti gli studi sulle mafie dimostrano senza ommbra di dubbio che la loro forza risiede nel network di collusioni, complicità e cointeressenze con il mondo dellaa politica e dell’economia in cui sono inserite.
    Vengo ora all’unica argomentazione presente nell’articolo, che mi pare agevolmente confutabile: il concorso esterno in associazione mafiosa contrasterebbe con il principio secondo cui “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge”. Ma l’articolo 110 delinea come reato il concorso di persone in un reato, quindi se è reato l’associazione mafiosa, lo è anche il concorso, e ciò è “preveduto dalla legge” proprio in virtù dell’articolo 110!
    Per sgombrare il campo da queste polemiche da avvocatucoli incapaci di guardare oltre il proprio naso, che si collocano in idem sentire con un potere politico-economico vergognosamente arroccato in difesa dell’innegabile e pernicioso malaffare di cui è protagonista, bisognerebbe aggiungere un bell’articolo al codice penale, che preveda esplicitamente una fattispecie di reato analoga al concorso esterno. Ma non mi si dica che in un paese come l’Italia, dove i crimini dei colletti bianchi sono più impuniti che in tutto il mondo democratico, i Dell’Utri e i Contrada non sono garantiti.

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