Belgio, ovvero chi rischia la secessione

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di ERIC MOLLE

Il dibattito mai sopito qui in Italia sull’unità nazionale, la secessione e il federalismo offrono la possibilità di fare un paragone con la complessa situazione nel Regno del Belgio. Il piccolo Paese del nord-Europa attraversa da decenni ormai una crisi interna, territoriale e politica che le ultime elezioni, svolte il 12 giugno scorso, di fatto, non hanno risolto. Spesso però, nell’analizzare la situazione belga, non si affrontano le particolarità del confronto interno al regno, delle divisioni tra valloni (francofoni) e fiamminghi (di lingua olandese).

Il Regno del Belgio nasce nel 1830 a seguito di quella che venne chiamata la rivoluzione belga e di fatto riconosciuto nel 1839. Le prime difficoltà interne al Belgio nascono negli anni Sessanta quando inizia la separazione linguistica tra fiamminghi e valloni. Questa prima separazione è legata alla marcata volontà di alcuni preti di lingua olandese di non celebrare la Messa in lingua francese1, sancendo quindi la separazione linguistica e una prima separazione amministrativa tra Conferenza episcopale francofona e di lingua olandese. Una suddivisione poi sancita da una revisione costituzionale nel 1993 che introduceva caratteristiche federali di una certa complessità: tre regioni (Fiandre, Vallonia e Bruxelles-Capitale), tre comunità (francofona, fiamminga e germanofona).

Le ultime elezioni rappresentano una chiara indicazione della situazione politica belga. In Vallonia hanno vinto i socialisti di Elio Di Rupo (di ovvie origini italiane), così come gli indipendentisti del N-VA di Bart De Wever hanno vinto nelle Fiandre diventando primo partito nel Paese, ottenendo entrambe più del previsto. Molti osservatori internazionali temono che questo sancisca la definitiva scissione tra le due parti del Regno. Sia Di Rupo che De Wever sono giovani, rispetto ai loro predecessori. Il primo è stato chiamato dagli elettori molto probabilmente a risollevare le sorti economiche della Vallonia, in crisi economica e prim’ancora industriale dagli anni Settanta. Il secondo dovrebbe richiedere non tanto una scissione quanto piuttosto ulteriori autonomie regionali nell’organizzazione federale belga. Le prime indicazioni fornite dai due uomini sembrano proprio andare in questa direzione. De Wever ha sottolineato di voler tendere la mano a Di Rupo, che potrebbe diventare il capo del governo (primo francofono dal 1974), e ai francofoni in cambio di una sorta di riorganizzazione in termini di autonomia, mantenendo comunque l’unità nazionale. De Wever ha in effetti affermato di non voler spaccare l’unità nazionale. Di sicuro dovranno affrontare, insieme, le difficoltà economiche di un Paese il cui rapporto tra debito pubblico e PIL sfiora il 100% e in cui la disoccupazione ha sforato la soglia del 9% della popolazione attiva.

Le discussioni tra partiti sono iniziate e dovranno andare avanti con celerità perché dal primo luglio prossimo il Belgio avrà il gravoso compito della presidenza europea di turno. La questione della scissione sembra però allontanarsi (se mai si fosse avvicinata) e la maggioranza dei belgi indica che questa in realtà non sarebbe mai stata realmente contemplata. Alcuni belgi hanno anche sottolineato come in quasi due anni di assenza di governo vero e proprio, le cose non siano poi andate così male.

Peraltro l’unità del Paese è mantenuta e sostenuta dalla figura centrale del Re dei Belgi, Alberto II, che si è sempre operato a smorzare i toni e che ha sempre lavorato per il bene di tutte le comunità, fatto riconosciuto e molto sentito da entrambe le comunità. Non si può dire lo stesso per suo figlio, Filippo, che spesso ha dimostrato insofferenza nei confronti dei fiamminghi (che non hanno mancato occasione di sottolinearlo). Il problema forse si ripresenterà nel futuro, per ora però, l’unità nazionale regge, anche grazie al monarca.

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