Io ti loggherò…

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di Piero Sampiero

Non so se termini come “taggare”, “loggare,” e via dicendo, siano entrati nei vocabolari della lingua italiana. E’ certo però che la loro introduzione nel linguaggio corrente ormai è avvenuta più o meno subdolamente.

Pur essendo non proprio un novellino del web, confesso che questi neologismi (a voler essere buoni) mi fanno una strana impressione.

Le prime volte, di fronte all’oscurità completa del loro significato, rimanevo interdetto.

Ritraevo dalla loro pronuncia sensazioni inquietanti. Strane reazioni avvenivano nel mio subconscio, mentre provavo lentamente a coniugare questi “verbi non verbi” al presente, al passato, al futuro, e provavo ad immaginare che cosa potessero pensare degli ipotetici interlocutori a sentirsi apostrofare, per esempio, con un imprevedibile e minaccioso” io ti loggherò” ovvero con un vagamente ricattatorio ” ti ho loggato!”, quasi simile, per le orecchie di uno sprovveduto, a “ti ho visto furfante, ora dovrai fare i conti con me!”.

E poi, un’ansia da prestazione rendeva alcune giornate estremamente stressanti, nel far fronte al dilemma “taggo, non taggo?”, riflettendo sulle conseguenze, comunque importanti, di una scelta tra l’una o l’altra soluzione, mentre il dubbio amletico, implacabile, continuava a tormentare il mio animo.

Se taggo, mi adeguo al malvezzo comune, pensavo. Se non taggo sono un pedante misoneista, che rischia l’isolamento, soggiungevo.

Che fare?

E’ ancora presto per fare scelte di campo così nette.

E dire che parole nuove od inusitate, a volte, trovano pieno accoglimento nel mio lessico, senza colpo ferire né lunghi indugi.

Adottare il fortemente polemico “isterizzare”, per me, è stato pefettamente naturale, tanta è la carica violenta e dissacrante contenuta in esso.

Un’istintiva simpatia mi porta a utilizzarlo di fronte ad ogni spettacolo individuale o collettivo di fanatismo ideologico, di miserabile malvagità mentale, di stupidità dei singoli o delle masse: lo trovo, in certe situazioni, molto appropriato ed efficace.

Come concludere, dunque, questo discorsetto sui cambiamenti del linguaggio indotti da internet?

Molto semplicemente consiglio a me stesso di aspettare.

E’ meglio assuefarsi.

Poco alla volta, come nel famoso esercizio di Mitridate, quel tanto di velenoso che riuscirò ad assimilare, un bel giorno mi consentirà di raggiungere l’atarassia anche nei confronti delle trasformazioni ineluttabili della nostra lingua.

Mi sembra tutto sommato un logghevole intento.

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