Cronache Asolane

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di STEFANO PIETROSANTI

Riflessioni e spunti dal meeting di Farefuturo e Italianieuropei

Il mio stupore, partecipando al meeting di Asolo nel precedente weekend, è cominciato ascoltando Lucia Annunziata sul palco asserire che l’attenzione mediatica riguardo le trasmissioni della Gabanelli sia ingiustificata, dato gli scarsi risultati ottenuti – a suo dire – dalle inchieste della collega. Meglio sarebbe stato, continuava, fare attenzione alla sua intervista a Richard Holbrooke, invece che farsi “ossessionare” dal tema della legalità declinato in maniera così aggressiva e militante. Nessuna citazione riguardo al fatto che il programma condotto da Milena Gabanelli avesse subito vergognose pressioni da dirigenti RAI di filiazione governativa. Nessun accenno al fatto che l’interesse mediatico – condividendo o meno il lavoro della Gabanelli – potesse essere dovuto al clima malsano e intimidatorio che si respira attorno a vari giornalisti che, bene o male, ma certo legittimamente, decidono di opporsi radicalmente al Governo e al generale andazzo delle cose in Italia.

Il mio stupore è continuato ascoltando D’Alema proporre, nel dibattito con Fini, la solita tiritera delle grandi riforme, frammista a due sole proposte pratiche: la tassazione dei redditi medio-alti (che vuol dire? Il solito vessare la fascia alta dei redditi da lavoro dipendente, ossia quella che sempre paga il costo degli aumenti di imposte, dato che non può evadere?) per produrre fondi di scopo e un drastico colpo di scure alla pubblica amministrazione. Infine, a completare il quadro, durante una cena, una sfida guascona a Renzi perché “ci provi” (testuale) a rottamare l’attuale classe dirigente della sinistra moderata. Io non amo Renzi, non mi piacciono gli “uomini del fare”, quelli “pratici”, gli “uomini concreti”, partendo da Hemingway e arrivando ai politici nostrani che giocano con queste figure, ma penso sia facile supporre a chi va la mia simpatia nello specifico.

Dall’altra parte, il discorso di Fini non è stato sicuramente eccelso, ma si è imperniato attorno a quattro punti: innalzamento della tassazione sulle rendite finanziarie per sostenere la ricerca; cancellazione delle amministrazioni locali inutili (provincie esuberanti, comunità montane dubbie); federalismo solo con controllo politico, ossia pronta riflessione sulla questione del senato federale; rendere incompatibili non solo i pubblici uffici, ma anche le consulenze agli enti pubblici a chi abbia subito condanne per reati infamanti. Tutte proposte ben definite, su cui si potrà chiedere la coerenza del signore in questione, quando sarà il caso. Poi è stata introdotto il riferimento alla non reiterabilità: il lodo, se passerà, non potrà fare da scudo a chi già una volta ha ricoperto una carica protetta, ossia la Presidenza del Consiglio o quella della Repubblica. Quale il dato politico, in quello che sembra un gioco da dottor sottile?

Oltre la guerra di logoramento per non trovarsi nella condizione di essere incolpati della caduta del Governo, mi sembra di scorgere dietro un ragionamento più raffinato: Fini sta cominciando a raccogliere consensi attorno al suo movimento, il territorio risponde bene – ho personalmente conosciuto vari ragazzi affatto legati alla vecchia tradizione (poco degna, a mio parere) del MSI e allo stesso tempo lontani dall’idea di politica che esprimono Berlusconi e i suoi sodali, che ora cominciano a lanciarsi nel loro primo impegno politico con FLI – ma tutto ciò va consolidato e strutturato; dall’altra parte la Lega spinge per andare al voto e raccogliere il dividendo politico dell’attuale bagarre. Berlusconi è indeciso. Nel caso Fini riuscisse a imporre la non reiterabilità del lodo, darebbe a Berlusconi un motivo per non terminare la legislatura, mettendolo nella scomoda posizione di farsi cuocere a fuoco lento dai “futuristi”, litigando con la voglia di voto di Bossi.

Non amo questi giochi di palazzo, penso che la politica, in qualsiasi schieramento ci si collochi, sia un compito onorevole onorevolmente svolto solo se declinata in una visione d’insieme di lungo periodo, guidata da valori definiti, ben noti sia agli operatori politici che agli elettori; limitandosi però allo specifico, sembra che il neonato schieramento abbia ben chiara la differenza tra compromesso politico e calarsi le brache, cosa che una certa sinistra pare aver disimparato da tanto. Nulla togliendo al fatto che Fini è un leader che per più di quindici anni – avendo sicuramente gli strumenti per valutare – ha buttato legna nella caldaia del Cavaliere e della Lega.
A livello culturale, Futuro e Libertà pare sottolineare ulteriormente i richiami alla destra storica, legando se stessa in ogni modo possibile all’idea di nazione, declinata alla maniera di Renan: “Avere glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente; aver compiuto insieme grandi cose, volerne compiere altre ancora: ecco le condizioni essenziali per essere un popolo … Nel passato, un’eredità di gloria e rimorsi; nell’avvenire, un ugual programma da attuare … L’esistenza di una nazione è un plebiscito quotidiano.”

Definizione stupenda, ma vecchia e già da tanto criticata (basti pensare che Gasset negli anni trenta sosteneva come “non è il patriottismo – va ricordato una volta per tutte – che ha creato la nazione”) e non posso non essere convinto che – in un mondo dove i capitali, le armi, i flussi migratori si muovono praticamente irridendo i controlli nazionali – per qualsiasi neonata forza politica sarebbe meglio affrontare, risolvere, e usare in modo fondativo il dibattito sull’identità continentale. Sul concetto di Stato che va oltre la comunità nazionale, che deve trovare nuove fonti democratiche e legittimative cui attingere, mi pare si giochi la battaglia democratica del secolo e per vincerla bisogna accettarne il campo, non cercare rifugi. In ogni caso non si può sostenere che la nuova forza sia disinteressata al tema, data l’attenzione che Farefuturo dedica normalmente alle tematiche europee. C’è solo da sperare, soprattutto se si vota lo schieramento opposto, che questo embrione di destra normale non venga spazzato via prima di vedere luce compiuta.

Prescindendo dalle riflessioni contingenti, immersi in questo clima è difficile non pensare al fatto che siamo sicuramente in un momento di grave confusione nel paese, di vera ingovernabilità e con questa situazione coincide la peggiore congiuntura internazionale possibile, cosa che preoccupa. Sulla pelle della generazioni più giovani, tra cui la mia, si stanno tirando le somme degli effetti di non essere stati in grado, come comunità, di andare oltre il fallimento della Prima Repubblica; si può solo sperare che questo ci insegni come sia importante non farsi distrarre dal rumore del quotidiano svolgersi dei fatti, tenendo il pensiero fermo alla necessità di costruire sistemi di gestione della vita comune solidi e coerenti.

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