La crisi economica e i suoi effetti sui fondi pensione

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Il 2008 sta per finire ma il problema dei mercati no

di Martina Cecco

La crisi economica, alla luce del generale andamento dei fondi di investimento, ha portato inevitabilmente con sé dei problemi anche relativamente ai fondi pensione, che mai, dal 2002, avevano toccato rendimenti così bassi. In alcuni casi i dati parlano di un negativo del 34% relativamente al 2008. Il consiglio, allora, è quello di non ritirarsi adesso, è il consiglio del COVIP, che incentiva a mantenere il danaro negli investimenti fino al superamento della crisi. In questo modo non si rischierà di perdere il danaro investito, anche se gli economi già fanno sapere che quanto svalutato ormai è di fatto perso. Ma in economia conviene pensare sulla lunga distanza, in questi casi, perché sono le occasioni buone a essere preziose, i momenti meno buoni sono molti, dunque allarmarsi è sbagliato in partenza.

In fatto di Fondi di Investimento e di Fondi Pensione, però, la strada è ancora lunga da percorrere: si tratta principalmente del fatto che il lavoratore che sceglie un fondo ha delle alternative che vanno dal fondo negoziale, al fondo aperto, al fondo pip united linked, et al.. A questo punto le strade dell’investitore si dividono nettamente; se da una parte l’investitore in fondi negoziali si troverà fondi monocomparto, meno ottimizzanti, o multicomparto, quindi con un rischio minore, l’investitore in fondi pensione aperti rischierà di più, poiché i suoi fondi sono in maggior parte costituiti da comparti non garantiti.

Tra le due diverse forme di investimento la seconda nel 2008 ha una percentuale di perdita del 7%. Contrariamente a chi ha lasciato il TFR in azienda, che ha avuto un utile per il 2008 del 2.2% che compensa i TFR che sono stati tolti dai fondi di destinazione originari. Il sistema dell’investimento del TFR non è ancora decollato e non significa che l’andamento attuale del periodo ottobre-dicembre sarà descrittivo anche per i prossimi mesi.

Il 2008 è stato negativo mediamente per tutte le forme di investimento non garantito, con un trend che non andrà sempre in questa direzione; le linee azionarie dei pip hanno un indice negativo del 16,4%. Se stessimo scrivendo però questo articolo a fine del 2005 dovremmo dire l’esatto contrario, di conseguenza, per evitare la vera perdita del capitale, si può senz’altro dire che la cosa migliore da fare è di attendere il migliore indice per la rivalutazione del capitale, riscattando nel momento in cui è conveniente.

I capitali investiti in fondi multicomparto sono soggetti a controllo da parte della società che li gestisce, ma Parmalat e Lehmann insegnano che anche nella gestione del capitale ritenuto affidabile possono invece improvvisamente rivelarsi episodi speculativi; con la speculazione non si ottiene un buon rendimento per tutti, la logica economica definisce speculativo proprio l’atteggiamento di chi sfrutta il potere economico del venditore per il profitto del valore di scarto, in netto guadagno, senza curare le garanzie per chi investe. In Italia il sistema sta reggendo grazie alle garanzie di emittenti che riescono a scegliere comparti del portafoglio che frenano la caduta. Merito allora della qualità dell’investimento, viene da dire, ma non è tutto qui.

Il problema non è tanto il sistema in sè, ma il meccansimo che garantisce il controllo del mercato: in questo periodo la situazione non è ottima, ma è mancata una regolamentazione delle prime azioni di investimento in favore dei potenziali investitori. Questo fatto è molto grave, per un paragone concreto e chiaro della situazione 2007/2008 è come se si chiedesse a un treno ad Alta Velocità di transitare sui binari periferici unici: o si deraglia o si rischia di sradicare la linea. Questo accade con gli investimenti non guidati fatti in un periodo critico.

In questa situazione è netta la posizione degli investitori che è rispettivamente costituita dai lavoratori dipendenti, che si sono affidati a fondi contrattuali e previdenziali complementari e dagli autonomi che si affidano per la maggiore a piani di investimento e fondi aperti (Covip). Di questi i dipendenti l’anno scorso nel 70% dei casi circa ha deciso di attendere e lasciare il suo TFR in azienda, diverso il caso degli autonomi per cui una forma complementare entra nella logica del sistema. Ma allora che deve fare un lavoratore per scegliere il passo giusto?

Prima di tutto l’investitore deve farsi consigliare da esperti nel settore, per non rischiare di perdere i suoi soldi, deve tenere presente che alle aziende, nel caso dei dipendenti, fa sempre comodo trattenere il TFR, che è una fonte, anche se marginale, di potere economico, come infine deve tener presente che nei momenti in cui le azioni valgono meno è bene cercare di comprare per guadagnare sui rendimenti futuro, mai di vendere, per cui i TFR che sono stati investiti, anche nel caso del pensionamento, è bene lasciarli fermi fino a che non è il momento in cui il guadagno è maturato. Fermo restando che la maggior parte dei fondi pensione di qualità ha già di per sè dei vincoli temporali minimi, studiati appositamente per sviluppare percorsi di investimento che portino gli investitori a trarre profitto.

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