Le Bufale del Corriere…

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C’era una volta il giornalismo ed una volta c’erano anche i giornali e i giornalisti. C’erano giornali affidabili e giornalisti coscienziosi, gente che voleva prima comprendere la realtà e dopo informare.

Come accade ai grandi “media”, ce n’erano di seri, di scrupolosi e di solito erano specchio dei professionisti che vi lavoravano. La caduta abissale di questa professione è un dato evidente che ha contribuito, a volte in modo determinante, alla decadenza di un intero modello sociale e rappresentativo.

Una volta c’era il Corriere della Sera, un quotidiano che guardava al “giornalismo anglosassone”, dove prima di ogni altra cosa, lo spazio doveva essere dato alla notizia, l’approfondimento doveva essere determinato dalla conoscenza dei fatti; l’indipendenza dei professionisti scaturiva dalla loro autorevolezza e nessuno si sarebbe prestato ad essere “velina da narrazione”.

Tutto questo, per l’appunto, c’era e non c’è più.

Negli ultimi due giorni abbiamo assistito ad un proliferare di articoli sul Kosovo, principalmente basati sul desiderio di costruire un racconto che potesse saldare, in un disgustoso polpettone mainstream, la guerra in Ucraina con le tensioni in Kosovo, le azioni della maggioranza albanese con le rivendicazioni di una “linea europeista”, la Serbia come elemento borderline nel cuore dell’Europa, con la lunga ombra di Putin dietro qualsiasi evento.

Per sostenere queste “puttanate”, ci si perdoni il tecnicismo ma di fronte a certe iperboli di servilismo non si può pretendere una lingua aulica, non si è esitato a strumentalizzare il campione di tennis Novak Djoković, i moti di Zvećan e Mitrovica, il clima che da anni si respira in Kosovo e Metohija, i miserabili vandali che hanno imbrattato il murales di Orahovac.

Per sostenere queste “puttanate”, hanno preso carta e penna giornalisti come Aldo Cazzullo, “inviati speciali” (ma dove e come ci verrebbe da chiedere) quali Marco Imarisio e nel delirio del ritratto psicologico/politico/sportivo e antropologico, un tuttologo sportivo del calibro di Marco Bonarrigo.

Che tristezza, vedere il Corriere frullare fake news e dar voce a ricostruzioni faziose e palesemente false, è così che gli italiani fanno giornalismo?

E dire che di giornalisti seri in Kosovo e Metohija ne abbiamo visti, effettivamente non più di cinque in ventiquattro anni.

Che tristezza, vedere delle opinioni riportate come realtà, Cazzullo parla del Kosovo in punta di resoconto diplomatico: “Pristina ha abbracciato i valori democratici, i media sono liberi, ed è forse il Paese più pro-europeo della regione” ma quand’è stato l’ultima volte che c’è stato? Che tristezza non riuscire ad usare la parola “enclave”, i luoghi dei non diritti ove i serbi sono stati confinati, sia che siano villaggi o porzioni di aree urbane, spesso prive di servizi primari ed essenziali, ostaggi di desolazione e disperazione, autentiche sacche di resistenza umana, senza medici, ospedali, fogne, illuminazione pubblica, si chiamano Velika Hoča, Zač, Osojane, Gorazdevac, Orahovac, Strpce, le conosce queste realtà il Cazzullo aedo della democrazia kosovara?

Che sdegno per l’ignoranza di Imarisio, che orienta le proprie opinioni e di conseguenza le proprie narrazioni come una pallina da flipper, senza approfondimento, senza conoscenza, surfando su internet, su immagini che non comprende e che schiaffa sull’articolo a puro scopo riempitivo.

Quindi nemmeno si accorge che nel testo del 2 giugno, un’intervista al premier kosovaro albanese Kurti, priva di ogni spessore, inserisce una foto a corredo di una “narrazione democratica” senza rendersi conto che i bravi manifestanti albanesi avevano bandiere del disciolto UÇK e soprattutto bandiere della Grande Albania, che ingloba in un delirio autoreferenziale, parti di Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord oltre a Kosovo e Albania, alla faccia dei “nazionalismi da condannare”.

Quanta ignoranza da parte di Imarisio quando parla di un nostro progetto (Boja u Vazduhu/Il Colore è nell’Aria) lo fotografa vandalizzato senza sentire il bisogno di informarsi sulla natura dello stesso, bollandolo superficialmente e servilmente coerente con la narrazione mainstream, quale ennesimo sfruttamento dell’immagine: “il campione serbo è diventato una bandiera da sventolare sotto il naso della minoranza albanese”.

Del resto, che ne sa Imarisio del Kosovo? Ha provato a chiedere se la minoranza serba usa lo stesso sistema sanitario della maggioranza albanese? Ha chiesto di visitare una scuola dove siedono nella stessa classe bambini serbi ed albanesi? Di certo non l’ha fatto, di sicuro non avrebbe potuto vederli, perché non ce ne sono in tutto il Kosovo democratico e proiettato verso il futuro (sic).

Meno male che a rimettere le giuste distanze ci pensa il Comandante della Kfor, il Generale di divisione Angelo Michele Ristuccia: “(gli scontri nel nord del paese) originano dalla decisione del premier kosovaro Albin Kurti di fare insediare i sindaci di etnia albanese non riconosciuti dalla maggioranza serba, senza tenere conto dei consigli contrari dell’intera comunità internazionale. La seconda azione unilaterale da parte del governo di Pristina è stata quella di usare la forza senza consultarci, rendendo così necessario il nostro intervento per evitare una tragedia”.

Imarisio non capisce o fa finta di non capire e insiste con una domanda:

Non era una scelta legittima da parte del governo di un Paese che agisce sul proprio territorio?

“Per favore, non fingiamo che questa sia una situazione normale. Sono decisioni prese senza un preventivo coordinamento con noi e con le parti in causa. Non è la prima volta che accade. Questo è un approccio che non favorisce certo la fiducia reciproca. Bisognerebbe sempre valutare le conseguenze nocive che hanno questo tipo di azioni. Quando ha parlato con me, il premier Kurti si è sempre mostrato d’accordo con questo approccio”.

Perché questa volta non l’ha seguito?

“Lo chieda a lui”.

Che tristezza, anche lo sputtanamento di Bonarrigo, che nel tentativo di shakerare Djoković, Serbia, noVax, antiNato, anti UE, terrapiattisti e chi più ne ha più ne metta, confeziona un articolo ridicolo finanche sulle attrezzature mediche usate dal campione serbo, parlando con grande dovizia di particolari di dispositivi misteriosi, australiani, costosissimi, per essere sburgiardato nel giro di qualche ora dall’italianissima azienda produttrice, che ha ideato, sviluppato e commercializzato il prodotto e che si chiama Taopatch.

La domanda vera rimane quella in premessa, ma questi signori sanno di cosa parlano e scrivono sul più importante quotidiano italiano? A spaventarci è la certezza della risposta: no!

Aveva ragione Giorgio Gaber, alla libertà di parola e stampa dovrebbe corrispondere la necessità di un pensiero, ma questa logica non abita più al Corriere della Sera, in via Solferino.

Redazione

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Mutuato da Pensalibero QUI

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