Sul caso Mori, Martelli riscrive la storia, ma non conferma il teorema giudiziario

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di ENRICO GAGLIARDI

L’Italia è un Paese strano dove i processi, soprattutto quelli di grande rilevanza sociale, trascendono in veri e propri casi politici. Destino normale in un certo senso, quasi obbligato quando i temi trattati sono cruciali per la stessa storia nazionale. Quando però la lettura politica prende il sopravvento, distogliendo l’attenzione dallo specifico processuale, si rischia puntualmente di finire fuori strada.

Quello che sta succedendo a Palermo nel processo che vede imputati Mario Mori e Mauro Obinu per il fallito blitz di Mezzojuso e la mancata cattura di Bernardo Provenzano ricalca un po’ questo schema.

Martedì scorso è stato ascoltato l’ex Ministro della Giustizia Claudio Martelli, che ha fatto dichiarazioni piuttosto singolari, sollevando, come era prevedibile, ulteriori polemiche oltre quelle già scoppiate dopo le deposizioni di Massimo Ciancimino.

L’ex Guardasigilli ha dichiarato che presentò delle lamentele all’allora Ministro Mancino riguardo all’operato del Ros: /”Non ho mai pensato che Mori e De Donno fossero dei felloni, ma che agissero di testa loro. Che avessero una sorta di presunzione o orgoglio esagerato” –/ queste, tra le altre, le sue parole. Parole che certo non gettano una luce positiva sui Carabinieri che in quell’epoca conducevano una dura azione di contrasto al fenomeno mafioso in Sicilia.

Ancora una volta, nei fatti, è stata messa in discussione la genuinità dell’arresto di Riina avvenuto il 15 gennaio 1993. La sua testimonianza ha inevitabilmente suscitato molte reazioni e lascia perplessi sotto diversi punti di vista.

Certo, l’ex Ministro di Giustizia non ha confermato l’esistenza della famigerata “trattativa” tra Carabinieri e vertici di Cosa Nostra, perché i vertici mafiosi cessassero la strategia stragista. Ha al contrario affermato di non aver mai avuto cognizione, nel ruolo istituzionale che ricopriva in quel periodo, di un comportamento del genere. Ha però tratteggiato e descritto l’operato del Ros come quello di un corpo quasi /legibus solutus/, svincolato dalle direttive della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) che in quel periodo (da poco costituita) coordinava e dirigeva l’intera azione di contrasto alla mafia.

Perché, ad esempio, l’ex leader socialista, ha fatto solo ora certe dichiarazioni? Perché pur avendo avuto la possibilità, in tanti anni, non ha mai pensato di denunciare, neppure politicamente, questa stranezza? Rivelare a distanza di diciotto anni questo giudizio negativo (che non è un’accusa, ma neppure un complimento) a carico dei Ros è indubbiamente singolare e fa sorgere interrogativi oltre che sulla ragione del “sospetto”, anche su quella del “ritardo”.

Come se non bastasse, in sede di controesame, lo stesso Martelli ha dimostrato diverse lacune nell’esposizione dei fatti. Alle domande della difesa in più occasioni ha risposto con un “non ricordo”. Difficile dire quale sarà il peso di una testimonianza del genere, difficile stabilire quale valore avrà. Ad ogni modo è chiaro che a Palermo si sta celebrando tutto fuorché un processo “normale”, con discussioni, contestazioni e giudizi che non sono pertinenti, se non in un senso storico, con l’imputazione a carico degli ufficiali dei Ros.

Ancora una volta, infatti, si è tornati a discutere il valore dell’arresto di Salvatore Riina, un’operazione di straordinario peso investigativo, sulla quale peraltro si era espresso a favore degli imputati un altro tribunale, con un giudizio ormai definitivo, vale a dire una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, peraltro dopo che gli stessi pubblici ministeri avevano presentato per ben due volte al Gip richiesta di archiviazione durante le indagini preliminari.

Perché Claudio Martelli non ha ritenuto in quella sede di avanzare le sue obiezioni in quanto persona evidentemente informata sui fatti? Ancora, per quale motivo l’ex Guardasigilli non ha saputo dare una motivazione circa lo strettissimo legame che c’è sempre stato tra Giovanni Falcone e Ros, di cui il giudice in diverse occasioni si è servito per le sue indagini, sin dai tempi della famosa “Duomo Connection”, quando indagava con Ilda Boccassini sulla penetrazione mafiosa a Milano?

Tutti interrogativi che resteranno senza risposta; quello che purtroppo invece ha fatto e farà ancora notizia, sono una serie di dichiarazioni lacunose e di giudizi personali, che gettano sospetti sull’azione dei Carabinieri, ai quali al di là dei teoremi e in assenza di veri riscontri, bisognerebbe riconoscere di avere combattuto la mafia in Sicilia con onestà e rigore e non di avere fatto, sia pure per conto dello Stato, un pericoloso ed illegale doppio gioco.

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