Riforma del Patto di Stabilità e guerra in Ucraina

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Festival dell'Economia Riforma del Patto di Stabilità e guerra in Ucraina Nella foto: Andrea FRACASSO, Marco BUTI, Giuseppe DI TARANTO, Marcello MESSORI Data 3 giugno 2022 Luogo: AUDITORIUM SANTA CHIARA Foto: LOTTI Michele - Archivio Ufficio Stampa PAT

Quando si può parlare di “debito buono”? L’inflazione portata dalla guerra in Ucraina, a breve termine, può anche avere effetti positivi su Pil e deficit? Perché gli Eurobond non sono stati fatti prima? La Bce dovrà alzare i tassi vista la crescita dell’inflazione? Cos’è la funzione di reazione in rapporto al deficit-Pil? Tante domande e tanta economia tecnica spiegata agli spettatori e agli studenti che hanno affollato l’Auditorium Santa Chiara per ascoltare il ricco panel proposto dalla Scuola Studi Internazionali di Trento nella seconda giornata della kermesse.

Le conseguenze finanziarie della guerra in Ucraina? L’inflazione, che però beneficia il PIL mentre il reddito resta fermo. «Ma l’inflazione può essere positiva solo sul breve periodo». Cinzia Alcidi dirige a Bruxelles il Cesb, il Centro studi sulle politiche europee ed è anche convinta che il rincaro delle fonti energetiche e delle materie prime non sarà di breve termine: «L’andamento dei prezzi di questo tipo è super-ciclico. La guerra in Ucraina ha portato uno choc ai prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici, ma ha amplificato un trend già in corso dal 2021. Non aspettiamoci di tornare ai prezzi del 2019, anche se la guerra finisse domani».
Si è ragionato di debito, deficit e politiche di sviluppo nel panel coordinato, all’Auditorium Santa Chiara, dal professor Andrea Fracasso della scuola di studi internazionali dell’Università di Trento e intitolato «la riforma del Patto di stabilità e la guerra in Ucraina». Le regole sulla stabilità sono state sospese per i due anni di pandemia e ora anche per i prossimi dodici mesi, nella speranza che si concluda la guerra in Ucraina.
Per lo storico dell’economia Giuseppe Di Taranto, della Luiss, «non c’è una vera teoria economica alla base della politica di austerità che ci ha accompagnato negli ultimi dieci anni, fino al Covid, con il limite del 3% al rapporto deficit-Pil e del 60% al rapporto debito-Pil».
La grande novità è che la Commissione Europea emetta debito e allochi le risorse agli Stati Ue non in base a peso demografico e dimensione ma in ragione della loro fragilità. Questa centralizzazione della politica fiscale ha finalmente dato un metodo» è il giudizio dell’economista Marcello Messori, docente alla Luiss. La sfida è combinare crescita di lungo periodo e regole fiscali rigorose. «Non tutti i problemi di finanza pubblica possono essere risolti da regole fiscali» ha aggiunto Alcidi. Per anni ha diretto gli Affari economici dell’Ue e oggi è capo di gabinetto del Commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni. Per Marco Buti è importante la «funzione di reazione» nella gestione della finanza e del debito pubblico: se un Paese eccede il 3% nel rapporto deficit-Pil che si fa? Accade perché fa debito buono, per le prossime generazioni, o per creare consenso per vincere le prossime elezioni? I relatori hanno concluso che, contro stagflazione e inflazione, serve una politica fiscale a livello centrale.

(db)

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