L’Italia ha paura della libertà: “La cultura liberale in Italia” Cubeddu in Lodi Liberale

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Nell’ambito delle iniziative culturali di Lodi Liberale, nella 155esima serata tenutasi via zoom, è stato presentato il libro di Raimondo Cubeddu La cultura liberale in Italia“, pubblicato da Rubbettino Editore, insieme all’autore (Professore di Filosofia Politica presso l’Università di Pisa), Maurizio Griffo (Professore di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università Federico II di Napoli) e Paolo Silvestri (Professore di Storia del Pensiero Economico presso l’Università degli Studi di Torino).

Lodi Liberale è all’ottavo anno di attività, per cui è d’ordine avere ospiti di un livello molto alto, che presentano dei testi, con la selezione di passi scelti dall’associazione stessa che vengono letti durante le conferenze. Ogni settimana Lodi Liberale presenta un testo, un classico od un libro di recente uscita. Questa volta è toccato al libro di Raimondo Cubeddu, noto filosofo italiano contemporaneo.

“La presenza della chiesa e il suo impatto, la straordinaria eredità di Benedetto Croce, che ha comportato alcuni problemi per il recepimento del Liberalismo della scuola austriaca, hanno in qualche modo determinato un particolare modo di essere liberali, in Italia.” Il presidente di Lodi Liberale Lorenzo Maggi ha letto quindi un passo del testo in cui si parla della realizzazione del liberalismo, in Italia, particolarmente. Nel testo vi sono e compaiono una lunga lista di liberali italiani, pochi mancano all’appello.

DIVERSI MODI DI LEGGERE LA CULTURA DEL LIBERALISMO

“L’insoddisfazione per il liberalismo italiano, esangue, è condivisibile. In Italia infatti non solo vi è il più forte partito comunista di occidente, che sviluppava la sua iniziativa sul piano culturale, prima che su quello politico.” Il professor Maurizio Griffo introduce il testo sottolineando che, in quegli anni, ai tempi di Palmiro Togliatti, attaccare i pensatori che erano attivi, era parte della missione del politico. Il politico interferiva direttamente nella produzione e nella vita degli intellettuali. In questo senso va letta la polemica con Benedetto Croce. Forte di una sorta di corrente alla moda neo stalinista, facendo leva sull’ipotetico non antifascismo del napoletano, si cavalcava una facile percorrenza.

“La visione monista e unitaria che viene citata nel libro è opinabile: del liberalismo molto si può dire, magari con una visione semplicemente improntata alla valorizzazione della libertà, nel solco di Giovanni Giorgini.” Secondo Griffo dunque molti sono gli autori che non rientrano in una visione univoca, come ad esempio Hume.

VIVIAMO IN UN MONDO DI DIVERSITA’

“Croce aveva respirato in casa un’atmosfera Risorgimentale, dove si sognavano l’Italia unita e la Costituzione: si trattava di portare avanti il desiderio e il lascito dei padri fondatori dell’Italia.” Griffo ha brevemente fatto riferimento alla discussione intercorsa a livello intellettuale tra Croce ed Einaudi, laddove Einaudi si preoccupa di respingere la statolatria che egli vede diffondersi nelle riflessioni politiche e teoriche di Croce; Croce da parte sua era improntato su un concetto filosofico più alto, quello dello spirito del liberalismo, per cui ponendolo come riferimento etico diviene una parte della logica dello Stato, non probabilmente quella fondante. Va da sé che la prima conseguenza indiretta, ma evidentemente logica, è quella che vede allarmarsi per una piega del concetto dello Stato etico, già notoriamente presa in tempi del fascismo, poiché forse Croce non ne prendesse troppo spunto, vista la commistione con il modello gentiliano. “Croce a un certo punto diviene giolittiano, Einaudi no. Croce era neutralista perché lo stato risorgimentale nella guerra potrebbe perdere l’equilibrio raggiunto. Croce nel 1949 si reca a Roma per votare il Patto Atlantico, in linea con la politica degasperiana.”

Un discorso a parte quello che Griffo restituisce sul liberale di sinistra Carlo Antoni, filosofo quasi scomparso come nome dall’attuale panorama intellettuale, ripreso nel libro dallo scrittore, già nella collana di Dario Antiseri. Pensatore di Trieste dove era nato nel 1896, che riconobbe in Benedetto Croce il suo maestro e punto di riferimento intellettuale.

UNA PROSPETTIVA ALTERNATIVA

Articolato in una parte sulle Caratteristiche e in una sui Protagonisti (tra i quali Alessandro Manzoni, Antonio Rosmini, i ‘liberisti’, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Bruno Leoni), questo libro tratta delle vicende del liberalismo italiano e della sua fortuna senza perdere di vista il parallelo sviluppo della tradizione liberale occidentale. Ne risulta che quella che Carlo Antoni riteneva una “questione di natura universale […] una di quelle che travagliano la civiltà del nostro tempo”, ovvero quella distinzione tra liberalismo e liberismo nella quale, sulla scia di Croce, riteneva che “il pensiero italiano avesse mostrato il suo peculiare interesse per la distinzione delle attività dello spirito umano”, si è in realtà rivelata la ‘palla al piede’ del liberalismo italiano. Un qualcosa che ne ha interrotto l’evoluzione della debole ma non spregevole elaborazione precedente e che lo ha praticamente isolato dagli sviluppi nell’età contemporanea. Fino a che, alla fine degli anni Ottanta, anche per via della diffusione di altri modelli filosofici, politici ed economici, e principalmente quelli della Scuola Austriaca, della Scuola di Chicago e della Pubblic Choice, è apparso come da quella sterile interpretazione del liberalismo fosse il caso di staccarsi definitivamente. Magari recuperando e rivitalizzando la tradizione liberale italiana (sia quella laica, sia quella cattolica) precedente a Croce, o sviluppando l’eredita dell’unico pensatore italiano del ‘900, Leoni, che abbia avuto un’influenza sulle vicende del liberalismo occidentale.

L’ORGOGLIO LIBERALE PARTE DALLA CONVINZIONE CHE IL SENSO DELLA VITA UMANA E’ DATO DALLA POSSIBILITA’ DI SCEGLIERE

“Una sorta di disgrazia, alla fine, fu il dialogo tra Einaudi e Croce: il primo venerava il secondo e non ha colto l’occasione per affondare la lama durante il periodo del fascismo. Tuttavia è certo che il dibattito, anche molto cortese, aveva dei limiti –  ha detto il Professor Paolo Silvestri –  e il liberalismo ha fallito nel dimostrare l’importanza dell’economico. Quel dibattito è stata una grande occasione persa perché nessuno dei due è stato in grado di spiegare il vero valore della libertà e nessuno dei due è riuscito a fare in modo che in Italia scompaia la paura della libertà.

IL FANTOCCIO LIBERISTICO «CORRIERE DELLA SERA», 22 AGOSTO 1948

“Un ormai desueto termine, quello che fu il titolo di un articolo di fondo scritto da Einaudi quando era presidente della Repubblica, pubblicato nel novecento, che ricalca il fenomeno del lemma neo-liberalismo, che oggi come oggi è diventata una parola ridicola ed insignificante.”

L’UOMO NON E’ LIBERO NELLE SOCIETA’ ASSOLUTISTICHE

A distinguere Croce da Einaudi, il fatto che il primo era un filosofo ed il secondo un politico; per questo, tanto quanto nel primo assume importanza lo spirito, nel secondo lo assume il pragmatismo, alla fine dunque sacrificando la parte più importante, l’economico in quanto pane, che è qualcosa che va oltre lo stesso pane.

“Non, forse, sulla sostanza del problema costituzionale da lei posto; ma sulla impostazione della disputa che ella asserisce esistere fra i liberisti, quale io sono definito essere, ed i loro avversari che un tempo erano detti protezionisti o socialisti ed ora sembra debbano essere più opportunamente detti “pianificatori”.” Scrive Einaudi.

Croce invece pensa che, non è il pane il mezzo per arrivare al sostegno della libertà e del liberalismo, ma semmai l’educazione. In un contesto comune dunque la direzione dei due pensatori non è la stessa.

IL DESIDERIO NON E’ UN BISOGNO

“Chi possiede tutti i mezzi della produzione, allora possiede anche i fini della produzione” perché la proprietà privata è il fondamento della libertà individuale, diceva Einaudi. In pochi minuti il professor Silvestri ha dimostrato come un potere accentratore, a prescindere dal tipo di potere, non consente lo sviluppo di un pensiero di libertà: in questo senso possono essere altre forme di libertà garantite anche e nonostante situazioni di libertà compresse. Dunque l’eunomia, la buona società, la good politics, richiede che ci sia una sorta di connessione secondo necessità nel sistema politico. Ma non è predefinito, va disposto.

GLI UOMINI NON VOGLIONO LA LIBERTA’ MA VOGLIONO LA SICUREZZA

“I desideri dell’uomo corrono di più di quel che corre la scienza, e se lo sguardo dell’uomo non fosse rivolto verso il nuovo e verso l’alto non ci sarebbe differenza con le altre specie animali.” Scrive Einaudi.

AVER PAURA DELLA LIBERTA’, DI JAMES BUCHANAN

L’uomo vuole la libertà per diventare l’uomo che vuole diventare.” Se il liberalismo ha fallito è perché non abbiamo capito che l’uomo ha paura della libertà!

Afraid to be free: sebbene le idee collettiviste siano ovunque cadute in discredito, questo saggio sostiene che il socialismo tuttavia sopravviverà e sarà esteso nel nuovo secolo. Le persone hanno paura di essere libere.

Il grande inquisitore di Dostoevskij dice che gli uomini vogliono essere un gregge al sicuro, non cercano la libertà, come segue.

“E noi abbiamo preso la spada di Cesare, ma naturalmente, prendendola, ripudiammo Te e andammo dietro a lui. Oh, passeranno ancora secoli di orgia del libero pensiero, di umana scienza e di antropofagia, perché, avendo cominciato a costruire la loro torre di Babele senza di noi, è con l’antropofagia che termineranno. Ma proprio allora la bestia striscerà verso di noi e leccherà i nostri piedi e li spruzzerà con le lacrime di sangue dei suoi occhi. E noi ci assideremo sulla bestia e leveremo in alto una coppa su cui sarà scritto “Mistero!”. Ma allora soltanto, e allora spunterà per gli uomini il regno della pace e della felicità Ricevendo i pani da noi, certo vedranno chiaramente che prendiamo i loro stessi pani, guadagnati dalle loro stesse braccia, per distribuirli fra essi, senza miracolo alcuno, vedranno che noi non abbiamo mutato in pani le pietre, ma in verità, piú che del pane stesso, saranno lieti di riceverlo dalle nostre mani! Ma chi piú di tutti, dimmi, ha favorito questa incomprensione? Chi ha diviso il gregge e l’ha disperso per vie sconosciute? Ma il gregge tornerà a raccogliersi, tornerà a sottomettersi, e questa volta per sempre. Allora noi daremo loro la tranquilla, umile felicità degli esseri deboli, quali essi furono creati.”

 

“Il liberalismo italiano ha assunto una dimensione particolare, che è quella nostra, legata alla difficoltà di un rapporto con il cattolicesimo che in Italia era molto più forte che in altre parti. Il rapporto tra cattolicesimo e liberalismo si investiga in particolare studiando Rosmini. – Ha detto il professor Raimondo Cubeddu – In Italia si è andati a cercare una linea autoctona quando, nel resto del mondo, era avvenuto un cambiamento radicale, a partire dal 1922, nel libro di Mises, che parla del grandissimo cambiamento del pensiero del liberalismo politico, nelle sue ricadute economiche e pratiche.”

“L’Italia sarebbe rimasta ancorata a fondamenti inadeguati. Non riuscendosi a liberare dalla teoria Schmittiana del valore lavoro il liberalismo è diventato un pensiero della classe agiata, dei produttori, della borghesia. Era un prodotto intellettuale che aveva un appeal molto limitato.” Il professor Cubeddu ha spiegato come con Von Mises il liberalismo sia passato da teoria del produttore a teoria del consumatore. Per questo la discussione tra Einaudi e Croce, se in Italia poteva andare, nel resto del mondo era anacronistica e superata.

L’influenza è marginale: erano tutte cose vecchie.” Secondo il professor Cubeddu quello che ne usciva nella discussione filosofica del novecento italiano era semplicemente una sorta di apologia della borghesia. La teoria liberale si basa sul principio che, aumentando le possibilità degli individui di migliorare la loro condizione, si riducono le occasioni di conflitto. E’ una teoria generale della dimensione umana, non solo una questione di politica.

MC

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