Guerra e Stato vanno a braccetto

Un libro presentato in Lodi Liberale

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“La Prima Guerra Mondiale come effetto dello “Stato Totale” – L’interpretazione della scuola austriaca di economia.” L’associazione Lodi Liberale ha portato alla conoscenza della cittadinanza di questo punto di vista sul dibattito storiografico, insieme a Beniamino Di Martino, autore del libro e Direttore di Storia Libera, Francesco Perfetti, Professore di Storia Contemporanea presso la LUISS Guido Carli di Roma e Ferruccio Pallavera , Direttore de Il Cittadino. Editore Leonardo Facco.

Il libro analizza la Prima guerra mondiale dal punto di vista alternativo, si inserisce nella Scuola austriaca e viene presa come lo spartiacque che ha chiuso l’epoca del liberalismo classico, per dare il via alla realtà dello Stato onnipotente.

“La Prima Guerra Mondiale «fu il risultato di una lotta lunga ed aspra contro lo spirito liberale e l’inizio di un’epoca di contestazione ancor più aspra dei principi liberali». Questo pensiero di Ludwig von Mises consente di rendere subito chiara una spiegazione delle cause remote e prossime della Grande Guerra, spiegazione molto differente da quelle più comuni. Questo testo intende documentare come l’accrescimento dei poteri politici sia all’origine della conflittualità che portò al disastro: una “guerra totale”, inevitabile conseguenza della costruzione dello “Stato totale”.

“Presenza fissa e annuale all’associazione don Beniamino di Martino è una mosca bianca del pensiero liberale in Italia. Il suo libro è una lettura agile e godibile che spiega come si colleghi la caduta del sistema del liberalismo classico, con il prevalere del protezionismo e dello statalismo, relativamente alla guerra.” Lorenzo Maggi ha riportato un estratto del libro che parla del senso dell’amor di patria, come terra degli avi, dei padri, una proprietà, ovvero l’esatto opposto del nazionalismo e della nazione. Il pensiero liberale è un pensiero di pace. Non di pacifismo, ma di pace.

Nel suo intervento Ferruccio Pallavera ha descritto la sensazione di cosa si prova quando si penetrano le Alpi o l’Appennino e ci si imbatte in microcosmi disabitati, luoghi di non residenza che hanno lasciato la traccia dell’esistenza e dove la Chiesa e la Piazza del Municipio sono lì ferme con il classico Monumento ai Caduti con una lista interminabile di nomi: questo significa che TUTTA la nostra nazione venne coinvolta e travolta da questa immane tragedia che fu la Grande Guerra.

Un ventesimo secolo senza la Grande Guerra sarebbe probabilmente coinciso con un secolo senza i nazisti o i comunisti.” Beniamino di Martino.

“100 anni fa si era immersi in quella che verrà chiamata la Grande Guerra, il conflitto più grande di sempre, che ha portato al fronte milioni di persone e che ha ucciso e trasformato completamente gli assetti del mondo. In questo contesto c’è un altro elemento che rende merito del senso attuale della discussione: oltre a questi dati e questi numeri impressionanti, vi è l’elemento drammatico del rafforzamento dello Stato.” Beniamino di Martino con il suo libro ha dato un contributo che si propone di cercare il perché di questo: secondo Carl Menger, fondatore della Scuola austriaca di economia, di Vienna, con il suo metodo di approccio razionale, si connatura in base alla visione d’insieme individualista.

INDIVIDUALISMO METODOLOGICO

“Consiste in un approccio alla realtà e ai problemi sociali inverso rispetto al collettivismo. Proprio dall’economia, correlata al dinamismo umano, nascono delle prospettive di visione di insieme, che consentono di dar conto del progresso o del regresso della civiltà. L’individualismo metodologico è nato in ambito economico con le Ricerche sul metodo delle scienze sociali del 1882, in questo senso ogni teoria scientifica è parziale e nessuna scienza esatta racchiude in sé la comprensione dell’universale.”

L’idea è correlata al secondo fenomeno: cosa sarebbe l’Europa e come sarebbe l’umanità se non ci fossero stati il comunismo ed il nazismo? Sulle spalle di chi è la responsabilità di quel che all’epoca avvenne? L’idea è che si debba trovare un modo per allontanarsi dalle cause che fanno nascere i totalitarismi. Secondo Von Mises il XIX secolo ha generato e reso popolari dottrine sociali che rappresentano lo Stato totale come la più alta delle conquiste umane. Ma in che senso?

Secondo Beniamino di Martino Mises metteva sullo stesso piano tanto il giudizio religioso che quello marxista leninista. Entrambi vedono il male nel capitalismo. Ma in realtà la guerra è il momento in cui la contrattazione liberalista perde, quindi è la fine del capitalismo nel senso liberista del termine. Senza la pace non esiste il capitalismo economico, il liberalismo deve poter sopravvivere a se stesso e non può essere causa della sua stessa morte. Quindi la causa del conflitto è per forza di cose il contrario del liberismo. Il clima irrazionale, positivista ed euforico e lo sconforto per la crisi della civiltà sarebbero state alla base del crollo ideologico che ha aperto alle ideologie totalitaristiche.

“La forza dello Stato è in competizione con il libero scambio: nazionalismo, protezionismo, interventismo e regolamentazione, sono le basi dell’imperialismo, non del liberalismo o del capitalismo.”

Bastiat: “Il protezionismo è stato il precursore del comunismo, esso è stato la sua prima manifestazione”

Mises: “Se uomini e merci sono impediti di passare le frontiere, perché le armate non dovrebbero preparare loro la via?”

LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE MASSE

Stiamo parlando di uno scambio di persone e di merci, non di diverse forme di invasione, inseriti in un contesto normato e di comune accordo.

“Le masse, inserite nello Stato moderno, avevano il sentore di essere protagoniste della guerra mondiale, dove nella modernità tutto viene declinato in funzione della massa, non della nicchia. Quindi una guerra moderna non poteva che essere una guerra di massa, per dare il segno del totale, mondiale.”

L’ECONOMIA DI GUERRA

Un secondo aspetto infine è quello che comporta la guerra: un dirigismo fattuale, fatto di economia di guerra, bilanci governativi, tassazioni, nazionalizzazioni, burocratizzazioni, politiche monetarie e bancarie staccate dal Gold standard, una carta che vale a seconda di quanto valgono i governi e la loro politica.

IL COLLETTIVISMO

E’ la misura secondo la quale tutto si sarebbe dovuto affermare in seguito alla guerra: in ordine alle conseguenze sociali lo stato del welfare è elefantiaco e schiaccia l’umanità. Difficile la libertà nello Stato totale, dopo la guerra totale. Un binomio imprescindibile: don Benianimo di Martino ha spiegato come queste due entità si alimentassero a vicenda, in un contesto in cui anche l’avversario era demone comune e capro espiatorio di tutto il male esistente. La guerra legittima lo Stato e lo Stato si alimenta attraverso la guerra.

Quando un confine non è più attraversato dalle merci, sarà attraversato dai cannoni, diceva Bastiat.

Nel suo intervento il professor Francesco Perfetti ha fatto presente che il libro mette in luce alcuni aspetti che sono inusuali: ad esempio dopo la Grande guerra cambia il punto di vista eurocentrico, diviene pseudo globale, quanto meno relativamente ai paesi sviluppati.

Le cause della Guerra vanno cercate oltre l’attentato all’Arciduca Ferdinando di Sarajevo, c’è qualcosa di diverso che fa sì che questo equilibrio internazionale si interrompa: da una parte certamente le nazioni, il potere esecutivo troppo opprimente e ingigantito, etc.. In questo contesto con la corsa agli armamenti e con il sistema delle alleanze si arriva alla concretizzazione del conflitto latente, che gradualmente ha rafforzato l’idea di dover entrare in guerra. Non solo il conflitto tradizionale Franco-Tedesco derivante dal conflitto prussiano, quello Austro-Tedesco, quello Austro-Italiano, il controllo dei Balcani, etc.. 

“Infine il fenomeno della cultura della guerra è il frutto del passaggio a livello intellettuale dalle certezze del positivismo alla creazione dei vari mondi di pensiero che esaltano l’azione, contemplano anche la guerra tra le diverse manifestazioni della floridità dell’essere umano. Un focolaio pronto ad esplodere.” Secondo Perfetti dunque ritiene che le classi politiche dell’epoca avessero visto in questo quadro la guerra come un elemento positivo, che serve a depotenziare le forze centrifughe, per far dirottare l’attenzione dai problemi interni, deviando sui pericoli esterni. (La funzione integratrice del conflitto).

“L’idea era di una guerra rapida con poco spargimento di sangue, invece – spiega Perfetti – la guerra assume delle caratteristiche completamente differenti. Facendo un confronto, per trovare una guerra così lunga, serve andare indietro alle Guerre napoleoniche, per durata, ma per ampiezza no.”

“La grande guerra vede all’epoca il coinvolgimento di tutti i continenti, anche se in Europa si studia principalmente quanto avviene sul fronte europeo, ma la guerra veniva combattuta ovunque, anche nelle colonie e nelle grandi aree metropolitane.” Infine, ricorda Perfetti, anche dal punto di vista delle risorse umane e materiali va considerata la totalità dello sfruttamento. In Italia questo fenomeno ha comportato la migrazione interna dalle campagne alla città. L’aumento del lavoro femminile nelle fabbriche. Nasce il cameratismo, uno stile del pensiero degli ex combattenti. Che al loro rientro non trovano più la loro dimensione.

 

LO STATO DEVE STABILIRE IL TIPO DI PRODUZIONE

“Il fenomeno di accentramento dello Stato e la linea di tendenza si manifesta in maniera massiccia durante la guerra – ha detto Perfetti – infine un ultimo aspetto che è inerente la Prima guerra mondiale e che ci portiamo ancora dietro, è la senescenza, il senso della vecchiezza, visto che la piramide della natalità cambia, dopo i 10 milioni di morti diretti e i morti indiretti, le persone ferite e quelle rimaste invalide, le malattie seguite, oltre che l’aggiunta Spagnola, per cui i giovani morti non hanno procreato.” La potenziale classe dirigente defunta scompare. La cultura che emerge dopo la guerra è una cultura del tramonto.

Un libro da leggere sarebbe, in argomento, quello di John Maynard Keynes “Le conseguenze economiche della pace”. Un altro testo è il volume di Von Hayek “La via verso la schiavitù”: parla di come I GRANDI REGIMI furono quindi l’esito, quasi obbligato, della negazione di un grande potere opprimente. Dove anche il socialismo è visto come declinazione del percorso partito dalllo strapotere dello Stato, che riduce libertà.

Martina Cecco

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