FEMMINISMO TRA BIOLOGIA ED ESPERIENZA. TERTIUM DATUR

COSA SIGNIFICA DONNA E COSA SIGNIFICA FEMMINISMO PER UNA DONNA TRANSESSUALE?

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Chi ha seguito i miei articoli precedenti su “Ideologia Socialista”, e chi conosce il mio percorso sia di attivismo militante dentro Arcilesbica sia come singola voce indipendente che prende una propria posizione sui temi che riguardano i rapporti tra il femminismo e la transessualità, sa che da sempre ho cercato di interrogarmi su ciò che può unire, nel rispetto reciproco delle differenze, donne biologiche e donne transessuali, e su ciò che quindi ci può permettere di costruire un femminismo altro, terzo, capace di integrare biologia ed esperienza.

Già questo significa smarcarsi da due poli ottusamente settari che si combattono per eliminarsi, non solo l’un l’altro, ma anche chiunque non la pensi come loro: parlo ovviamente del cosiddetto transfemminismo queer e di quella componente del femminismo radicale che riduce l’identità dell’essere donna alla sola dimensione biologica. Sono due ghetti che nel combattersi alimentano sia una contrapposizione sterile e inconcludente sia una cultura sessuofobica di fondo, che non favorisce di certo risposte adeguate alle domande di base che dobbiamo porci se auspichiamo che nel nostro mondo non vi sia più una egemonia patriarcale che alimenta condizioni di vita e stereotipi culturali di genere releganti le donne tendenzialmente in una posizione subalterna rispetto agli uomini su un piano politico, economico e sociale.

Le due domande di fondo sono: cosa significa essere donna? Cosa significa femminismo?

Ovviamente come donna transessuale non posso avere e fornire da sola risposte adeguate dato che, non essendolo dalla nascita, e avendo una dotazione biologica diversa, non posso avere un bagaglio esperienziale completamente assimilabile all’essere donna da sempre. E sulle cose che non ho vissuto sulla mia pelle non posso che mettermi in una posizione di ascolto e di ricerca di comprensione di esperienze diverse dalla mia. Posso solo offrire una mia visione delle cose a partire dalla mia esperienza parziale e specifica.

COSA SIGNIFICA DONNA?

Cosa può significare essere donna per una donna transessuale?

Inizialmente significa desiderare una identità sessuale femminile che non si possiede ma verso la quale si tende attraverso spinte interne che non si sceglie di avere; queste spinte non sono rivolte verso un adattamento a stereotipi di genere, verso una rappresentazione convenzionale di ciò che si intende culturalmente e socialmente per donna. Le spinte sono invece rivolte al cambiamento del corpo, ed in particolare delle sue caratteristiche sessuali secondarie ( in modo parziale o completo).

Una volta realizzato questo cambiamento si creano/si possono creare, tra donne biologiche e transessuali, condivisioni di molte e importanti esperienze personali e sociali, vissute e percepite in modo sostanzialmente analogo; ovviamente non di tutte, non certo di quelle nelle quali le diversità biologiche in termini di caratteristiche sessuali primarie giocano un ruolo determinante.

La condivisione invece c’è di fatto quando nelle esperienze che si fanno di sé a livello personale, relazionale e sociale gioca un ruolo importante, a livello di ricadute psicologiche, il possesso di caratteristiche sessuali secondarie che si hanno in comune.

Dall’avere in comune, in tutto o in parte, le caratteristiche sessuali secondarie, dall’essere percepite come donne su un piano sociale, ne derivano significative analogie in termini di condizionamento oggettivo rispetto agli stereotipi di genere e di relazione tra i sessi.

Al livello dell’esperienza che una donna transessuale fa per se stessa del proprio corpo c’è in particolare la percezione, analoga a quella che può avere una donna biologica femminista, di come preservare, dalla spinta dello stereotipo culturale a compiacere adattandosi alle pressioni relazionali e sociali, uno spazio di autonomia in cui viversi “fregandosene” degli altri. Non che negli uomini non ci sia un problema simile, ma generalmente la differenza sessuale è questa: gli uomini si possono chiedere se sono all’altezza di un’autonomia personale che generalmente vengono spinti socialmente ad avere in maggiore misura rispetto alle donne; le donne invece si pongono generalmente un problema che viene ancora prima, e cioè quello per cui dubitano di essere meritevoli di desiderarla, e solo se superano questo step poi si potranno eventualmente porre l’obiettivo di come realizzarla.

Al livello dell’esperienza che una donna transessuale fa nelle relazioni interpersonali e sociali (in qualsiasi ambito: da quello lavorativo a quello sessuale), l’analogia con le donne biologiche la si ritrova generalmente nel percepirsi in una posizione di maggiore vulnerabilità per quanto riguarda la possibilità di trovarsi in situazioni a rischio per la propria integrità fisica o psichica, e quindi di subire atteggiamenti e comportamenti prevaricatori se non violenti.

Assieme alle donne biologiche le donne transessuali vivono una condizione di maggiore esposizione al rischio di violenze psicologiche e/o fisiche da parte di uomini ma anche (più raramente) da parte di donne in posizione di maggior potere in senso economico o sociale.

E questo proprio perché come donne si viene vissute tendenzialmente, in un’ottica patriarcale che produce e conserva rapporti asimmetrici tra i sessi, in termini di risorse che devono essere sempre a disposizione dell’altro.

Quindi, alla fin fine, per una donna transessuale essere donna significa condividere una parte più o meno importante del bagaglio esperienziale e di vita di una donna biologica; la sorellanza esperienziale non annulla le differenze biologiche ma può gettare un ponte e creare importanti opportunità di condivisione, di alleanza, di sostegno reciproco.

COSA SIGNIFICA FEMMINISMO?

Se per femminismo intendiamo lo studio, la riflessione, la attuazione di prassi personali, relazionali, sociali, politiche tese ad eliminare la subalternità delle donne in un mondo patriarcale, è chiaro che un femminismo positivo e intelligente non può né prescindere dal riconoscimento delle differenze biologiche e sessuali primarie esistenti tra donne biologiche e transessuali né dal riconoscimento della condivisione di parte del bagaglio esperienziale e sessuale secondario che invece le accomuna.

Un femminismo finalmente innovativo deve porsi l’obiettivo di integrare ciò che è possibile tra biologia ed esperienza, laddove componenti importanti del cosiddetto mondo femminista italiano tendono invece a dissociarle e a produrre danni enormi per tutte le donne, sia biologiche sia transessuali.

Il cosiddetto transfemminismo, che ha fatto della sovrapposizione confusiva tra sesso e genere il proprio verbo politico e culturale, è di fatto collusivo con uno statu quo patriarcale, e non a caso si è reso sistematicamente responsabile di atteggiamenti e comportamenti verbali di stampo tipicamente maschile e aggressivo nei confronti del mondo femminista che rivendicava invece il riconoscimento delle differenze come base di partenza per una possibile integrazione delle varie istanze politiche e sociali.

L’artificiosa e arrogante pretesa del transfemminismo di imporre una inclusività sulla base di soli vissuti esperienziali rispetto alla fantomatica identità di genere, prescindendo dalle differenze sessuali, ha alimentato una simmetrica e corrispondente chiusura difensiva e settaria nella componente del femminismo radicale italiano che riduce l’identità sessuale alla sola dimensione biologica, e che non è minimamente interessata a creare opportunità di condivisione con le donne transessuali ma solo reciproca esclusione.

Se si vuole veramente un femminismo politicamente innovativo e dirompente esso dovrebbe avere il coraggio di dichiarare esplicitamente come propri nemici politici da combattere queste due componenti pseudofemministe che nel farsi la guerra in realtà non cercano nient’altro che una legittimazione della loro esistenza autoreferenziale nei rispettivi ghetti.

E nel farlo entrambe queste componenti strumentalizzano in direzioni opposte e complementari la transessualità, o confondendola (come i cosiddetti transfemministi) con le auto-dichiarazioni di genere asteriscate, o negandone l’esistenza ( come le radfem per cui esiste solo la biologia nel definire l’identità sessuale, e quindi per esse la transessualità è un ossimoro, è una mistificazione della realtà in quanto non possibile).

Entrambe queste posizioni da combattere sono alimentate da una sessuofobia di fondo come ho già descritto in precedenti articoli: da una paura a fare i conti con la dimensione sessuale e a valorizzare l’importanza di costruire rispetto a essa un rapporto positivo, chiaro e onesto. Paradossalmente ciò che le accomuna è la paura a fare i conti con il corpo transessuale, con la sua diversità irriducibile ma anche con la sua appartenenza a una binarietà che è perturbata dalla nostra esistenza.

Un nuovo femminismo coraggioso non ha paura a confrontarsi con la transessualità e a cercare di condividere e integrare ciò che è possibile tra le nostre esistenze e i nostri corpi, in parte diversi, in parte identici, mai totalmente uguali o totalmente diversi.

Neviana Calzolari

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