Il SI’ al Referendum: nessuna eversione, ma un allineamento alle grandi democrazie

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Dunque, il dado è tratto. Il 4 dicembre gli italiani potranno approvare o respingere la Riforma Costituzionale varata dal Parlamento nello scorso aprile. Il primo sentimento che dovrebbe accomunare tutti è quello della speranza. La speranza che finalmente il dibattito possa concentrarsi sul merito in modo che ciascuno possa decidere in coscienza. Sinora, dobbiamo riconoscere, non è stato così.

È’ sembrato più uno scontro elettorale, tra maggioranza e opposizione che un confronto sul futuro della nostra Costituzione. Ciò è veramente paradossale e francamente inaccettabile. Sono decenni che si discute di riforme della Costituzione, sono state istituite svariate commissioni, comitati, gruppi di lavoro. E proprio nel momento in cui vi è la possibilità di decidere qualcosa, non se ne riesce a parlare, perché la politica ha preso in ostaggio la questione, declinandola nell’unico modo che sa fare: uno scontro di corto respiro tra fazioni.

La prima cosa da dire allora, forte è chiaro, è che questa decisione non è più della politica, questa decisione è ormai dei cittadini. Solo i cittadini hanno il potere di dire sì o no.

La politica da sola non ce l’ha fatta, tant’è che siamo arrivati al referendum. E se la decisione è dei cittadini, i cittadini meritano rispetto. Non possono e non vogliono lasciarsi incasellare nelle casacche che i partiti vorrebbero loro imporre. Ma sopratutto non possono accettare che nessuno si intesti l’esito del referendum. Sarà una decisione da imputare a tutti indistintamente coloro che l’avranno compiuta, sia che vinca il sì sia che vinca il no. Non certo un decisione del governo o dell’opposizione.

Nel merito sono rispettabili le opinioni di tutti ovviamente. Purché motivate nel merito e non per partito preso.

La seconda considerazione di ordine generale da compiere può essere espressa con un paradosso apparente. L’alternativa in gioco in realtà non è tra un NO e un SI’, ma è tra due SI’. Un sì al cambiamento nella direzione della riforma, un sì al mantenimento della situazione attuale.

Non ci sono terze vie. Dopo quarant’anni di tentativi, affermare che il no di oggi possa essere l’anticamera di un sì ad una migliore riforma domani rappresenta nel migliore dei casi un’ingenuità priva di senso della realtà e nel peggiore un’ipocrisia in malafede. Sicuramente sulla carta possiamo pensare a straordinari paradisi costituzionali da realizzare in futuro, ma la politica si fa nell’orizzonte del possibile e oggi l’unica cosa possibile è questa. Mentre la storia ci insegna che le alternative non sono realisticamente a portata di mano.

E veniamo al merito. Non si può qui discutere ovviamente ogni dettaglio. Speriamo come dicevo che la campagna consenta di approfondire ogni aspetto. Ci sono però due ragioni che mi hanno convinto a favore del sì. Questa riforma infatti elimina due anomalie assolute che caratterizzano il nostro sistema istituzionale. La prima è che attualmente l’Italia è l’unico paese al mondo che ha un sistema parlamentare con un bicameralismo assolutamente paritario in cui le due camere hanno le stesse competenze e danno entrambe la fiducia al governo. Con conseguente instabilità quando nelle due camere vi siano maggioranze diverse. La seconda anomalia è quella per cui attualmente l’Italia è l’unico paese al mondo che, pur avendo un sistema costituzionale di autonomie territoriali (le Regioni) non ha una seconda camera che rappresenti tali autonomie.

La riforma interviene su entrambi i punti, ristabilendo la simmetria con le grandi democrazie contemporanee. Il senato diviene l’organo di rappresentanza dei territori e non dà più la fiducia al governo. Ciò significa maggiore stabilità dei governi, perché si evita la possibilità di maggioranze diverse tra l’una e l’altra camera (è successo in Italia dal 1994 in 5 legislature su 7) e consente alle Regioni di interloquire con lo Stato a livello centrale in una sede costituzionale (il Senato).

Si può discutere su questo e su altri aspetti presenti nella riforma. Quel che è certo è che non si tratta di una rivoluzione eversiva, ma dell’allineamento a quello che accade nelle grandi democrazie. Se non lo si vuole, scelta legittima, bisogna però riconoscere che si sta dicendo un diverso sì: un sia all’esistenza, un sì’ allo status quo, un sì all’immobilismo. Di questo, ogni cittadino dev’essere consapevole.

Di Giovanni Guzzetta

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