Bindi vs De luca

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Riflessioni sul senso dello Stato e sulla sua carenza.

Gli organi di informazione danno notizia che il neo eletto Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha presentato denunzia nei confronti del Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, per i seguenti capi d’accusa: a) diffamazione; b) attentato ai diritti politici costituzionali; c) abuso d’ufficio.
Il fatto che il comunicato del denunziante riporti l’espressione “diritti politici costituzionali” può indurre l’errata impressione che venga ipotizzata la violazione dell’articolo 289 del Codice penale, “Attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali”, ma, ovviamente, non è così. In realtà, si invoca l’articolo 294 del Codice penale, “Attentato contro i diritti politici del cittadino”. In questo caso, il diritto leso dal presunto attentato sarebbe quello di elettorato passivo, ossia il diritto a farsi eleggere ad una carica elettiva.

Si può comprendere che gli organi d’informazione vadano a nozze quando hanno l’opportunità di riportare una notizia oggettivamente clamorosa, che sembra riguardare la “lite”, come impropriamente è stato scritto, tra due esponenti del medesimo partito, il Partito democratico.
In altri tempi, tuttavia, qualunque giornalista preoccupato di salvaguardare anche la propria credibilità professionale, si sarebbe affrettato a citare l’articolo 68 della Costituzione della Repubblica italiana che, al primo comma, così recita: «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».

L’onorevole Rosy Bindi non è una passante, né uno qualunque dei 630 membri della Camera dei Deputati. Ricopre legittimamente la carica di Presidente di una Commissione parlamentare bicamerale, la cui esatta denominazione è: “Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”. Piaccia o non piaccia, la predetta Commissione aveva deciso di esprimere valutazioni sulle liste dei candidati concorrenti alle ultime elezioni regionali, per segnalare quei casi in cui risultassero candidati per i quali non sussistevano impedimenti di legge alla candidatura, ma che erano coinvolti in procedimenti giudiziari pendenti. Iniziativa riguardante tutte le regioni in cui si votava e tutti i candidati di ogni lista.

L’azione legale nei confronti del Presidente Bindi muove dal presupposto di una sua responsabilità penale personale; ciò significa che bisognerebbe provare con argomentazioni precise il dolo: cioè la volontà specifica del Presidente Bindi di nuocere al candidato De Luca, per impedirne l’elezione, e di aver a questo scopo abusato delle proprie funzioni e dei propri poteri, in qualche modo ingannando anche gli altri parlamentari che fanno parte della Commissione antimafia.
Per quanto bravi possano essere i legali di cui De Luca si avvale, mi sembra che provare in giudizio siffatte accuse sia più che arduo.
Di conseguenza, in presenza di una disposizione della Costituzione che tutela la libertà dei parlamentari in quanto tali, mettendoli a riparo per l’attività svolta (voti dati ed opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni), ed a fronte di un’accusa temeraria quanto alla possibilità di raggiungere elementi di prova, un giudice, qualunque giudice serio, non dovrebbe avere dubbi sulla decisione da adottare.

Questo è uno di quei tipici casi in cui un giudice (astrattamente considerato) non dovrebbe neppure affaticarsi a motivare il rigetto, ma dovrebbe proprio prendere il testo della denuncia cartacea e strapparlo in faccia agli avvocati del denunziante, con tutte le conseguenze che comporta una lite temeraria. “Strappare in faccia” può sembrare un’espressione colorita, ma riporto un modo di dire che era abituale fra noi studenti quando, in anni lontani, frequentavamo la Facoltà di giurisprudenza.
Dal mio punto di vista, la vicenda è l’ennesima, clamorosa, conferma che molti degli attuali protagonisti della vita politica (in questo caso mi riferisco a Vincenzo De Luca) hanno un senso dello Stato ed un rispetto delle Istituzioni, pari a zero. C’è soltanto un “io” grande, ipertrofico, di fronte al quale ogni considerazione di ordine generale viene meno. Quando Presidente del Consiglio era Enrico Letta, il Sindaco di Salerno pensò che a lui non si applicasse una disposizione di legge che impone l’incompatibilità tra la carica di membro del Governo della Repubblica (Sottosegretario del Ministero delle Infrastrutture) e la carica di Sindaco. Purtroppo, qualcuno consentì che egli potesse sentirsi ed essere al di sopra della legge, prima che si arrivasse alla formale dichiarazione di incompatibilità. Oggi c’è il problema piccolo, “burocratico”, che la Regione Campania potrebbe restare senza Presidente, perché chi è stato appena eletto a questa carica ha riportato in precedenza una condanna che comporta la temporanea sospensione dalle funzioni. Quisquilie e pinzellacchere.
A fronte di questi precedenti, la denunzia nei confronti del Presidente della Commissione parlamentare antimafia ha il senso di: «come si è permessa?», «non lo sa chi sono io?».

Visti i tempi che corrono, potrà anche capitare che qualche giudice, uomo di mondo, accetti di sollevare nei confronti della Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale del’articolo 68, primo comma, nella Costituzione nella parte in cui fornisce una tutela eccessiva ai comportamenti dei parlamentari in carica. Così gli organi di informazione avranno tanto di cui parlare ancora.
Il vero problema è che il discredito nei confronti di quanti fanno parte del ceto politico è arrivato ad un livello tale che non ci si rende conto che è essenziale preoccuparsi di garantire la libertà dei membri del Parlamento. Tutte le costituzioni improntate a valori liberali e democratici prevedono disposizioni identiche o similari a quella dell’articolo 68, primo comma, della nostra Costituzione.

Immaginiamo che non Vincenzo De Luca, uomo probo e stimato, ma un autentico “politico-mafioso” sia il principale riferimento istituzionale di attività criminose in una data realtà geografica. Immaginiamo che manchi una Commissione antimafia operante in permanenza, ma che la questione sia a tal punto evidente che la Camera dei Deputati decida di istituire una Commissione d’inchiesta, ai sensi dell’articolo 82, primo comma, della Costituzione, per verificare cosa esattamente succeda in quella data realtà geografica. Se, con leggerezza, passasse il criterio che l’onorabilità del singolo vale sempre e comunque più delle determinazioni di un libero Parlamento, domani potrebbe capitare che i membri della ipotetica Commissione d’inchiesta fossero tutti chiamati in giudizio dal politico-mafioso per rispondere personalmente delle accuse che hanno provato a muovere nei suoi confronti.

Forse qualche libertario (nel significato americano del termine) sarebbe d’accordo nell’anteporre le garanzie del singolo individuo alle possibilità di verifiche da parte dei poteri pubblici; noi siamo di scuola diversa e per noi il valore primario e fondamentale della libertà individuale deve essere contemperato con valori di ordine generale (quali l’amor di Patria ed il rispetto della legge) che, in determinate circostanze, devono prevalere. Non libertà anarchica, ma libertà repubblicana.

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