L’ipotesi “Grexit” nella Unione Europea

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A fine dicembre 2014, dopo la mancata elezione in Parlamento del Presidente della Repubblica Ellenica in successione di Karolos Papoulias, con il conseguente ricorso alle elezioni legislative anticipate stabilite per il 25 gennaio 2015, la crisi politica in Grecia ha riportato lo Stato ellenico in condizioni di turbolenza finanziaria, amplificata dalla incertezza sia sulla linea politico-economica del prossimo governo sia sui tempi di formazione dell’esecutivo. Si è così prospettata l’ipotesi di una uscita della Grecia dalla Eurozona, in merito a cui è stato coniato il vocabolo “Grexit” (Greek euro exit).
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La Grecia è entrata l’1 gennaio 1981 nella CEE – Comunità Economica Europea (Unione Europea dal 1993). Il 19 giugno 2000, il Consiglio Europeo ha accettato la domanda di adesione di Atene alla EMU – Unione Economica e Monetaria della UE, da cui è derivato l’1 gennaio 2001 l’ingresso nella Eurozona. Quando a metà 2012 la Grecia visse il periodo più drammatico della crisi economico-finanziaria, l’eventualità di una Grexit fu considerata un possibile punto di non ritorno per la integrità della unione monetaria, poiché si riteneva avrebbe potuto determinare un effetto domino, data la concomitanza di crisi del debito anche in Irlanda, Portogallo e Cipro, i quali hanno poi superato la fase negativa anche in virtù della realizzazione dell’ESM – Meccanismo di Stabilità Europea, il fondo di sostegno permanente per gli stati della Eurozona in difficoltà finanziaria.

Uno scenario ipotizzabile a seguito di una Grexit prevedrebbe la necessità per Atene di stampare una propria moneta. I debiti in gran parte verso ESM, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale rimarrebbero però in euro e la Grecia, con una moneta svalutata, difficilmente sarebbe in grado in rimborsarli. Inoltre si avrebbe un effetto immediato su quegli altri stati aderenti alla Eurozona con debito e disoccupazione alti. Sul versante politico si determinerebbe l’affermazione della reversibilità dell’adesione alla Eurozona, a vantaggio delle formazioni politiche cosiddette “euroscettiche” già presenti in modo consistente nel Parlamento Europeo insediatosi dopo le elezioni di maggio 2014.

In Germania il via libera ai prestiti per i piani di salvataggio (bailouts), come ad esempio quello alla Grecia, sono subordinati all’approvazione della maggioranza del Parlamento (in particolare del Bundestag). Il riflesso politico-elettorale della decisione rende questo passaggio rilevante, al punto che la linea del governo Merkel, favorevole ad un sostegno finanziario agli stati in crisi, ha determinato la formazione di un movimento di opinione critico, da cui poi ha tratto origine il partito AfD – Alternativa per la Germania, fondato nel febbraio 2013 (nel Parlamento Europeo aderente al gruppo ECR – Conservatori e Riformisti Europei) che, tra le sue proposte, ha avanzato la realizzazione di una Eurozona a due velocità, in riferimento ai parametri economico-finanziari degli Stati.

Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea, ha sottolineato che il nuovo esecutivo ellenico dovrà rispettare gli impegni presi dai governi precedenti. Olli Rehn, Vice presidente del Parlamento Europeo, dal 2010 al 2014 Commissario Europeo agli Affari economici e monetari, ritiene che il prossimo governo dovrebbe cercare di concentrare la propria azione sull’ottenimento di una estensione del periodo per il rimborso del prestito ottenuto da UE/BCE/FMI, mentre gli altri Stati della Eurozona (con l’ingresso della Lituania composta da 19 Stati della UE) dovrebbero trovare modalità per rendere più sostenibile il debito della Grecia, pari a circa il 180% del Prodotto Interno Lordo, dopo aver già concesso l’interruzione del pagamenti degli interessi.

Giorgos Papandreou, Primo ministro della Grecia dal 2009 al 2011 da Presidente di di Pasok – Movimento Socialista Panellenico (che ha lasciato per fondare a gennaio 2015 il Movimento dei Socialisti Democratici), ha detto che l’accordo sul piano di salvataggio nel 2010 è stato necessario per evitare il default dello Stato. Ha però addebitato la crisi finanziaria all’operato dei governi precedenti, in particolare quelli presieduti da Kostas Karamanlis (Nuova Democrazia) – da marzo 2004 a ottobre 2009 – sostenendo di non essere stato a conoscenza delle dimensioni del deficit nazionale prima delle elezioni 2009.

Alla conclusione del mese di dicembre del 2014, l’andamento della Borsa di Atene risultava in declino, riflettendo le incertezze del contesto politico-elettorale: dopo una crescita per quasi tre anni, caratterizzata dalla più grossa ristrutturazione del debito greco e dalla diminuzione della spesa pubblica, a partire da marzo del 2014 è cominciata una discesa che complessivamente è stata del 44%, con un declino per otto mesi su nove. In particolare, nella settimana di inizio dicembre successiva all’annuncio dello svolgimento anticipato dell’elezione per il prossimo Presidente della Repubblica Ellenica, l’indice azionario ha perso il 20%: è stata la peggiore dal 1987.

Alexis Tsipras, Presidente di Syriza – Coalizione della Sinistra Radicale, nella eventualità di un prossimo esecutivo da lui presieduto ha escluso azioni unilaterali nei confronti della UE/BCE/FMI e ha ribadito di non avere intenzione di sostenere l’uscita della Grecia dalla Eurozona, purchè le condizioni derivanti dalla permanenza nella unione monetaria non mettano a rischio la coesione sociale. Tsipras vuole invece la conclusione delle politiche di austerità attraverso una rinegoziazione degli accordi stabiliti per l’ottenimento del bailout, in modo da rendere più gestibile il debito nazionale, prendendo ad esempio quanto stabilito nella conferenza di Londra del 1953, quando alla Germania si accordarono condizioni sostenibili in merito alla restituzione dei debiti dal 1919 al ’45.

In campagna elettorale, Syriza ha inoltre apprezzato l’intervento di Dimitris Avramopoulos, Commissario Europeo alla Migrazione e agli Affari Interni e Vice presidente di Nuova Democrazia, riguardo alla necessità di una maggiore flessibilità del Patto di Stabilità per gli Stati della Europea de Sud. Il primo ministro Antonis Samaras ha invece sottolineato che dal 2012 al 2014 è stato realizzato un riordino del settore pubblico, con effetto benefico sul deficit, tanto da creare condizioni affinché non siano più richieste riduzioni degli stipendi e delle pensioni. Ma – ha evidenziato Samaras – qualora un prossimo governo entrasse in contrasto con i suoi creditori potrebbe esserci per la Grecia la perdita di 35miliardi di euro, tra prestiti e finanziamenti.

Gikas Hardouvelis, Ministro delle Finanze della Grecia, ha sottolineato la scadenza a fine febbraio del piano di salvataggio, che dal 2010 ha fornito ad Atene 240 miliardi di euro, e ha indicato a Syriza – qualora formi il prossimo esecutivo – l’eventualità di chiedere una estensione di sei mesi del programma di aiuti. A fronte di una campagna elettorale incentrata sul rapporto tra Atene e la UE/BCE/FMI, Wolfgang Schaeuble, Ministro delle Finanze della Germania, ha detto che i politici ellenici non dovrebbero promettere ai propri elettori più di quanto possono mantenere, escludendo un’altra ristrutturazione del debito della Grecia. Ha inoltre rinnovato la necessità per il prossimo esecutivo ellenico di adempiere agli accordi stabiliti per l’utilizzo del bailout. Al tempo stesso, Schaeuble ha sottolineato i progressi della economia greca, che i dati più recenti indicano superiori a quelli di altri stati della Eurozona.

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