Raggiro Agcom

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DAVIDE GIACALONE

Oggi si giocherà, male, una partita rivelatrice: il Parlamento dovrà nominare i nuovi commissari all’Agcom (organo di garanzia per il mondo delle comunicazioni). Avevamo avvertito che non era affatto una buna idea far credere che inviare il proprio curriculum fosse un mezzo per entrare a farne parte, ma il buon senso e la conoscenza delle norme, oramai, sono optionals. La faccenda si risolverà in una gigantesca presa in giro. I più, purtroppo, preferiscono cimentarsi nel salto del demagogo: basta con le nomine dei partiti, si dia spazio a chi vale. Peccato che: a. sia falso; b. le nomine parlamentari sono politiche. Resterà da assegnare il posto di presidente, cosa che spetta al governo, e lì si spera che non scatti la lottizzazione parallela e togata, portandoci i colleghi-amici.

Succede questo: avendo detto che le nomine si faranno sulla base del curriculum, e che ciascuno avrebbe potuto inviare il proprio, ne sono arrivati numerosi, alla Camera e al Senato. Risultato: i commessi non sanno neanche a chi recapitarli. Non c’è una procedura, non c’è un criterio, non c’è alcuna trasparenza. Un raggiro. Che è consustanziale alla richiesta ipocrita, perché la natura delle agenzie indipendenti è tale che nessuno sconosciuto, per quanto qualificato, potrebbe e dovrebbe esservi nominato, giacché il Parlamento (nel caso dei commissari) e il governo (nel caso del presidente) delegano a quell’autorità la regolazione costante di un mercato delicato. I designati, quindi, dovrebbero arrivarci non in base ai titoli di studio, ma in ragione delle cose che hanno sostenuto o fatto relativamente non alle comunicazioni in generale, ma alla loro regolazione e sviluppo. Sono nomine politiche, non un concorso a titoli.

Purtroppo molte nomine, in questa come in altre autorità, sono state fatte attingendo a piene mani al vasto mondo degli amici, dei trombati e di quelli da collocare per garantirsi un baratto d’interesse. Molti commissari giocano a mosca cieca con le materie di cui dovrebbero occuparsi e, difatti, le autorità hanno avuto un crollo d’autorevolezza. Non tutte, non sempre, ma molte e spesso (tra parentesi: sono troppe). Il rimedio, però, non può essere l’autocandidatura di quelli che si ritengono meritevoli, per giunta in assenza di un quale che sia criterio per selezionarli. Di questo avevo avvertito, segnalandone il pericolo, proprio nel momento in cui appoggiavo la candidatura di Stefano Quintarelli alla presidenza dell’Agcom. Non poteva esistere la candidatura, ma quel nome è l’ideale. Attenti, non è una contraddizione: sarebbe un ottimo presidente perché ha idee chiare, anticipatrici, collaudate. Non è genericamente “competente”, modello professore universitario, è capace di pensare in termini diversi dall’esistente.

Per bocciare Quintarelli il governo, quindi le forze politiche che lo sostengono, devono o trovare un nome di maggior prestigio, o assumersi la responsabilità di prediligere chi dia maggiore affidamento, che sta per maggiore ascolto ai rispettivi interessi e maggiore subordinazione alle rispettive influenze. Basterebbe conoscere l’ABC della prudenza per rendersi conto che scartare Quintarelli è un azzardo. Specie dopo le nomine di domani mattina, che brilleranno per schieramento assai più che per capacità di cambiamento, tanto che, scommetto, partirà il gioco a scaricabarile, per incolparne altri da sé. Il caos innescato, facendo credere si possa entrare fra i piccoli fratelli mediante curriculum, senza neanche passare per il casting, sarà un’aggravante. Temo che domani avremo l’ulteriore conferma che le forze politiche non riescono a razionalizzare il rischio che corrono, non riescono a credere che il mondo possa essere diverso da quello nel quale oggi languono. Neanche capiscono i campanelli d’allarme. Se ne accorgeranno di colpo. Bruscamente.

DavideGiacalone.it

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