La forza del Tea Party e l’antidemocrazia

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di DOMENICO MACERI

È successo 106 volte dal 1940, 18 sotto la presidenza di Ronald Reagan, 8 sotto Bill Clinton, 7 sotto George W. Bush, e 3 sotto Barack Obama in tempi recentissimi. Si tratta ovviamente dell’innalzamento del tetto al debito pubblico statunitense. Si considerava rutina eccetto quando il presidente era democratico e la Camera in mano ai repubblicani. Gli ultimi di questi “scontri” avvennero nel 1995 e 1996 fra l’allora presidente Bill Clinton ed il presidente della Camera Newt Gingrich. L’opinione pubblica diede la colpa a Gingrich per la “chiusura” del governo ed eventualmente Clinton fu rieletto facilmente nel 1996.

I tempi sono cambiati e la politica a Washington sempre più tossica. Nessuno vuole fare compromessi. Poche settimane fa sembrava che John Boehner ed il presidente Barack Obama avessero raggiunto un “grand bargain”, un compromesso di fondo che avrebbe aumentato il tetto del debito ma allo stesso tempo ridotto il deficit mediante tasse e riduzioni di servizi sociali.

La pressione dell’estrema destra del Partito Repubblicano, il Tea Party, si è ribellato e il piano è sfumato. La vicinanza al default del governo, che tutti gli analisti sostengono avrà serie conseguenze all’economia americana ed anche mondiale, ha spinto Boehner a un piano meno solido che innalzerebbe il tetto ma apporterebbe anche tagli ai programmi sociali. Anche questa proposta ha suscitato l’ira dell’estrema destra.
A questo punto Boehner ha perso le staffe ed in una riunione con membri del suo partito ha detto a un numero di parlamentari repubblicani di “mettersi in fila e votare”.

Al momento di scrivere queste righe la Camera, con voti solo repubblicani, ha approvato l’innalzamento del tetto al debito per sei mesi. Boehner ha però dovuto “raddolcire” il piano per farlo ingoiare al Tea Party includendo un emendamento alla costituzione per un budget bilanciato. Solo se il Congresso approverà questo emendamento si avrà il secondo innalzamento al tetto del debito.

L’inclusione dell’emendamento richiesto dal Tea Party ha reso problematico l’esito al Senato, dominato dai democratici. Con un voto di 59-41 il Senato ha bocciato il disegno della Camera. Harry Reid, il leader democratico, ha preparato il suo disegno di legge anche con due tappe conferendo al presidente la libertà di innalzare il tetto al debito. La Camera ed il Senato riterrebbero però il diritto di imporre il loro veto con due terzi dei parlamentari. Questo aspetto di offrire al presidente la libertà e la responsabilità di innalzare il tetto era stato presentato anche da Mitch McConnell, leader della minoranza repubblicana al Senato.

Sotto questo profilo sembra che il Gop abbia vinto perché la richiesta di Obama di fare aumentare le tasse ai ricchi sarà assente. Inoltre i legislatori si “laverebbero” le mani addossando ad Obama la responsabilità e la possibile accusa di spendere e spendere. I repubblicani inoltre sarebbero riusciti dunque a difendere i loro beniamini mentre i tagli ai programmi sociali colpiranno i ceti bassi.

La possibilità del default è però ancora reale. Chi perderebbe con il default? Prima di tutto il Paese perché l’impatto all’economia sarebbe serio e possibilmente catastrofico. Ma il pugno nell’occhio è già stato ricevuto. Il mondo guarda con preoccupazione lo stallo a Washington e non riesce a capire come il Paese più ricco sembra incapace di pagare le sue obbligazioni. La fede nell’economia americana si è già scossa principalmente per l’inflessibilità dell’ala destra del Partito Repubblicano che ha spinto verso l’orlo del precipizio.

In un certo senso si dovrebbe ammirare l’efficacia del Tea Party che sta “guidando” non solo il Partito Repubblicano ma in senso più vasto anche il Paese. Questa efficacia diventa più notevole quando si considera che la maggioranza degli americani si trova più vicina a Obama e la sua idea di compromessi. Secondo un sondaggio Reuters/Ipsos, infatti, il 56% degli americani crede che la crisi si dovrebbe risolvere con una combinazione di tasse e tagli. Agli estremi si trova invece il 12% che vuole solo tasse e il 19% che vede la soluzione solo mediante i tagli.

L’America si considera il Paese democratico per eccellenza. In realtà in questi ultimi tempi il Tea Party è riuscito a ricattare non solo il Partito Repubblicano ma tutto il Paese. La loro vittoria però sarà incompleta se il default causerà una crisi mondiale. Ci perderanno anche i ricchi i cui investimenti andranno a picco. Una tassa molto più pesante di quella che gli voleva imporre Obama.

Domenico Maceri, PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

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