Kareem Ramadan

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di ANTONIO PICASSO

il mese del digiuno e della riflessione intervallato da preghiere e dubbi.

«Sarà un Ramadan difficile», commentano fra le stradine intorno a viale Padova, a Milano, il quartiere di maggiore concentrazione di immigrati islamici del capoluogo lombardo. Eppure, tra le botteghe di tradizione meneghina, ormai adattate al cosmopolitismo della zona, e Kebapari take away, si percepisce una sensazione di felice attesa. Il mese del digiuno, cominciato proprio ieri, è infatti un momento di preghiera ma anche di festa. Perché le famiglie si riuniscono la sera per festeggiare l’interruzione notturna del precetto. Perché ci si sente più vicini ad Allah e, di conseguenza, più in pace con i propri vicini. La difficoltà, quindi, è data da altro. Prima di tutto, il fatto che giunga in piena estate. In concomitanza praticamente con il nostro mese di agosto. «Con il caldo che fa, è molto difficile restare a digiuno fino al tramontare del sole». Ma c’è soprattutto la consapevolezza della complessità dei giorni che il mondo islamico sta attraversando.

Per la prima volta i fedeli di Paesi come Tunisia ed Egitto potranno vivere le prossime quattro settimane con uno spirito diverso. I militanti delle formazioni islamiche, come quella dei Fratelli Musulmani in Egitto e di al-Nahda, in Tunisia potranno celebrare le preghiere dopo essere usciti fuori dalla clandestinità, essendo stati riconosciuti come partiti a tutti gli effetti. Potranno riunirsi in pubblico per le celebrazioni del mese sacro.
In piazza Tahrir, al Cairo, è previsto che i sit-in proseguano regolarmente. Gli attivisti hanno cominciato a organizzarsi, sostituendo alcuni degli striscioni di protesta con altri dal contenuto religioso. I responsabili della sicurezza si sono divisi in squadre di controllo per garantire che al tramonto non si scateni il caos. «Terremo conto del fatto che sulle strade ci sarà un gran traffico appena prima della rottura del digiuno, perché tutti torneranno a casa. In questo modo eviteremo che malintenzionati approfittino del trambusto per diffondere il panico nella piazza e boicottare la nostra battaglia». Dice uno dei promotori delle manifestazioni pubbliche di carattere religioso attese nella capitale egiziana. L’iniziativa, per quanto sia fonte di merito, mette in luce che la città è parzialmente abbandonata a se stessa e che le autorità legittimamente costituite non dispongono della fiducia da parte degli abitanti. Ed è evidente, peraltro, che gli stessi fedeli temano rigurgiti estremistici.
Dove si sentirà con maggiore forza il cambiamento tra il Ramadan pre-rivoluzionario e quello appena iniziato è nell’ambito dei media. Le tv arabe, ora libere dalla censura – chissà se per sempre o per quanto tempo, però – potranno ospitare i tanti telepredicatori islamici messi fuori legge dai passati regimi.

È il caso dell’egiziano Yusuf Qaradawi osteggiato dal regime di Mubarak. Le emittenti di Stato potranno dare maggiore spazio alle trasmissioni di carattere religioso durante il mese. Una nuova vita verrà altrettanto vissuta dalle soap opera. Dopo aver rotto il digiuno al tramonto, i musulmani sono soliti trascorrere la serata in famiglia, seguendo appassionatamente le serie televisive, che in questo periodo registrano un picco di ascolti. Secondo il giornale saudita al-Watan, buona parte delle telenovele arabe girate in questi mesi parlano proprio delle rivoluzioni o di vicende che riguardano i vecchi regimi. In particolare sono in programma nuovi serial dedicati alla corruzione subita dai cittadini egiziani sotto Mubarak. Di questo parla la fiction dal titolo “Auguri signor Ramadan”, di Mohammed Hindi, che affronta il tema dei brogli elettorali avvenuti nelle ultime elezioni in Egitto, a novembre dello scorso anno. Il serial “Cittadino X”, di Ayyad Nasar, denuncia invece le torture compiute dalla polizia agli oppositori sotto il passato regime. Un tema estremamente delicato. Visto che un’effettiva epurazione in seno alle forze di sicurezza egiziane non è stata messa in pratica. Mentre la telenovela “La famiglia dignitosa” è dedicata alla corruzione nella pubblica amministrazione egiziana. Infine si parla anche del movimento studentesco anti-Mubarak nella fiction “Noi siamo studenti”, dove si punta il dito contro gli stessi mali che sono penetrati nelle università del Paese. Le telenovela più attese restano però “Le pagine dal quaderno delle speranze” e “I giovani di Facebook”, evidentemente concentrate sui fatti di quest’inverno che hanno cambiato la vita del Paese.

Tuttavia, non mancheranno le serie televisive a carattere religioso, che già hanno provocato forti polemiche. “Hasan, Hussein e Muawiya” è dedicata al primo scisma dell’Islam, dal quale è nato lo sciismo, oppure quella concentrata sulla figura del califfo Omar Bin al-Khattab, noto per essere il più detestato dagli sciiti. Entrambi i programmi seguono implicitamente una posizione assunta anni fa dalle autorità religiose egiziane. Vale a dire contenere il più possibile il diffondersi delle dottrine sciite. A causa dei flussi migratori, infatti, l’Egitto è ultimamente testimone di una crescente presenza di questa confessione islamica, ritenuta eretica dai sunniti. Il Ramadan rappresenta il momento giusto per ribadire le distinzioni dottrinarie presso la società egiziana.
L’entusiasmo e il desiderio di cambiamento si intrecciano con una pericolosa attesa. I musulmani in Italia lo sanno bene. E per questo ammettono che non si tratta di un momento facile. Un’attesa contingente per l’Egitto. Visto che già domani inizierà il processo a Mubarak, accusato di corruzione, abuso di potere e soprattutto della responsabilità della repressione fallita di febbraio. Attesa anche per i futuri appuntamenti elettorali. In Egitto, come in Tunisia. Come pure per le drammatiche notizie che giungono dalla Libia e dalla Siria.

Nella prima la guerra in corso rischia una cristallizzazione. La seconda, invece, è precipitata in quel baratro di violenze di cui non si percepisce la fine. Il massacro di Hama, domenica, rischia di creare uno drammatico scenario di guerra civile. Come in Libia, ma in un contesto ancora più delicato. Per quanto destinati alla sconfitta, è evidente che né Gheddafi né Assad abbiano intenzione di mollare il potere senza prima aver versato il sangue delle popolazione che, solo sette mesi fa li osannava. I due rais, ex interlocutori dell’Occidente, hanno deciso di avvelenare i pozzi. Il tutto con un mese di preghiera alle porte. Elemento, questo, che in passato ha rallentato le operazioni militari in corso. Almeno così è accaduto in teatri di guerra precedenti. Vedi l’Iraq in parte l’Afghanistan. Proprio domenica, il Pentagono ha ribadito l’auspicio che i talebani si avvicinino al tavolo dei negoziati nelle prossime quattro settimane. Nel caso di Libia e Siria, non si può prevedere lo stesso. I due regimi non sono né dichiaratamente religiosi – specie quello di Damasco – e soprattutto non hanno esternato manifestazioni di rispettare una tregua in concomitanza con le preghiere. Anzi. Assad ha voluto trasmettere un messaggio del tutto contrario. In musulmani di viale Padova ne sono consapevoli. L’augurio di Kareem Ramadan che si rivolge loro è non è solo pro forma, ma di solidarietà verso una situazione davvero difficile.

A tutti i lettori di religione musulmana, la redazione augura un Ramdan di pace, di serenità e di tolleranza.

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