Costruire le condizioni per un nuovo Governo

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di LIVIO GHERSI

Chi vince le elezioni non è al disopra della legge. E’ l’abbiccì della concezione dello Stato di diritto. La nostra Costituzione prevede qualcosa di più: le maggioranze parlamentari — che hanno il potere di fare le leggi — non possono approvare disposizioni legislative in contrasto con i princìpi e le regole costituzionali. Se lo fanno, un apposito Organo, la Corte Costituzionale, può dichiarare l’illegittimità costituzionale, totale o parziale, delle norme di legge in contrasto con la Costituzione, determinando con ciò stesso la loro eliminazione dall’ordinamento giuridico.

Definiamo appunto Stato di diritto quell’ordinamento che pone alla base della convivenza sociale alcuni princìpi e regole procedurali affermati dalla Costituzione e che subordina le leggi ordinarie alle norme costituzionali: tutti, governanti, parlamentari, amministratori, funzionari, poliziotti, militari, non sono liberi di fare ciò che a loro piace, ma sono tenuti ad esercitare le proprie, rispettive, funzioni istituzionali, osservando la Costituzione e le leggi. Il sovrano assoluto, sciolto dal dovere di osservare le leggi, appartiene ad una fase storica che consideriamo superata a partire dalla “Gloriosa Rivoluzione” inglese del 1688, dalla proclamazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America nel 1776, dalla Rivoluzione Francese del 1789. Gli stati totalitari del Novecento, nelle loro varianti fasciste, naziste e comuniste, riproposero l’idea di un governo assoluto e illimitato, al cui cospetto i diritti dei singoli cittadini erano nulla; ma le dittature fasciste e naziste sono state sconfitte con la Seconda Guerra mondiale ed il blocco comunista si è disgregato dopo il 1989. Nell’Unione Europea, ispirata dai princìpi dello Stato di diritto e della democrazia liberale, non c’è alcuno spazio per la pretesa che un uomo di governo, per il semplice fatto di essere risultato più votato alle elezioni, non debba rispondere dei propri comportamenti secondo quanto previsto dall’ordinamento giuridico.

Nell’Italia odierna siamo arrivati al punto che se il leader di Futuro e Libertà, Gianfranco Fini, ricorda, in’una assemblea a Reggio Calabria, che “chi vince le elezioni non è al disopra della legge”, invece di fargli notare che sta scoprendo l’acqua calda, lo si accusa di essere un pericoloso eversore e si ritorna a chiederne le dimissioni da presidente della Camera, perché non sarebbe “imparziale”.
Nella situazione data, non so se far prevalere la pena nei confronti di un uomo di governo, anagraficamente vecchio, che appare non più del tutto “compos sui”, perché ormai condizionato dai propri vizi e dalle cattive abitudini contratte per coltivarli, di conseguenza con i freni inibitori sempre più allentati, con un evidente declino delle capacità intellettuali; oppure, se far prevalere l’indignazione nei confronti di coloro che, per salvaguardare il proprio personale potere, difendono l’indifendibile.

Qui non si discute del merito politico; ogni posizione, comunque la si voglia etichettare, di destra, di centro-destra, di centro, di centro-sinistra, di sinistra, può essere liberamente espressa ed avrà la forza che le daranno quanti se ne lasciano convincere nel dibattito pubblico e la fanno propria. Qui si discute non soltanto di una persona, ma di una porzione di classe politica raccolta attorno a lei, che non perde occasione per mostrare insofferenza nei confronti delle regole del gioco democratico, come definite dalla Costituzione vigente. Finché quelle regole non saranno modificate con la procedura prevista dall’articolo 138 Cost., tutti sono tenuti ad osservarle: non esiste alcuna libertà di scelta. Eversore non è chi ricorda i princìpi costituzionali, ma chi minaccia “strappi istituzionali” e “spallate”, che poi, nella sostanza, altro non sarebbero che velleità golpiste.
Il pregio della democrazia è la possibilità di assumere decisioni collettive, vincolanti per tutti, senza violenza. Confido ancora che in Italia non vi siano politici così irresponsabili e sciagurati dal voler mettere in discussione l’ordinamento democratico. Chi lo facesse, darebbe la stura ad inevitabile violenza. Si raccoglie ciò che si semina.

Secondo i miei convincimenti e la mia cultura politica, gli scandali in cui è coinvolto l’attuale Presidente del Consiglio, scandali che non sono una montatura, ma discendono dalla vita sregolata che egli conduce, gli imporrebbero di dimettersi. So bene che non lo farà.
Come superare la turbolenta e pericolosa fase attuale, battere ogni avventurismo politico e riconquistare condizioni di sicuro rispetto della Costituzione e dello Stato di diritto?

Non ho mai subito il fascino delle posizioni politiche espresse da Walter Veltroni, attuale leader della minoranza del Partito democratico. Eppure, a Torino, ha detto una cosa di buon senso, che condivido pienamente e che mi sembra coincida con le analisi che molte altre persone autorevoli, all’interno del PD, dal Segretario Pier Luigi Bersani, a Massimo D’Alema, hanno svolto sul medesimo punto. Qualora si dovesse presto andare ad elezioni politiche anticipate, le forze politiche che attualmente svolgono il ruolo dell’opposizione in Parlamento, non possono procedere in ordine sparso. Hanno il dovere di assumersi responsabilità all’altezza del difficile momento.

Veltroni ha ricordato il precedente delle elezioni politiche del 27 marzo 1994. Allora il Partito Popolare italiano, guidato da Mino Martinazzoli, e il “Patto Segni”, di cui era leader Mario Segni, scelsero di assumere una posizione centrista, senza alleanze né a Destra, né a Sinistra. Nel voto espresso nei collegi uninominali il cosiddetto “Patto per l’Italia” (cioè il cartello di Martinazzoli e Segni) conseguì 6.019.038 voti (15,63 % dei voti validi), ma, per la logica stessa del sistema maggioritario di collegio, ottenne soltanto quattro seggi in tutta Italia. Con riferimento al secondo voto, per la quota proporzionale, il PPI ottenne 4.287.172 voti (11,07 %) e 29 seggi; il Patto Segni 1.811.814 voti (4,68 %) e 13 seggi. Faccio riferimento ai dati delle elezioni per la Camera.

I “Progressisti” di Achille Occhetto, lista che pure raccolse tanti voti, furono facilmente battuti da una forza politica che allora si presentava per la prima volta: Forza Italia; alleata nel Nord del Paese con la Lega Nord e, al Centro-Sud, con Alleanza Nazionale nel cosiddetto “Polo del buongoverno”. In altre parole — è la morale che oggi ne trae Veltroni — la scelta di Martinazzoli e Segni di correre da soli regalò la vittoria al Centro-Destra. Possiamo oggi permetterci di ripetere quello schema e di far vincere nuovamente un Centro-Destra guidato da Berlusconi? Possiamo regalare a quest’uomo politico che giudichiamo inidoneo a governare il Paese una nuova maggioranza parlamentare che, oltre tutto, lo eleggerebbe alla carica di Presidente della Repubblica alla scadenza del settennato del Presidente Napolitano? Se l’Italia non si merita questo Presidente del Consiglio, a maggior ragione non si meriterebbe la sua elezione a Capo dello Stato!

L’attuale legge elettorale è indecente? Benissimo. Si cerchi allora la soluzione tecnica per darle applicazione nel modo meno pericoloso per il Paese. La soluzione tecnica sta nell’evitare che scatti il premio di maggioranza in seggi a favore del Centro-Destra.

Per quanto mi riguarda, mi definisco liberale e auspico, in prospettiva, un Partito di Centro che — esattamente come fanno i Partiti liberali in Europa — possa, secondo le circostanze, contribuire alla governabilità, alleandosi in base ai programmi ora con forze di Centro-sinistra, ora con forze di Centro-destra, oppure concentrarsi sul ruolo di opposizione parlamentare, che in democrazia è altrettanto prezioso. L’opinione pubblica di orientamento liberale certamente rifiuterebbe qualsiasi alleanza che promuovesse una politica irresponsabile di crescita della spesa pubblica; certamente rifiuterebbe qualsiasi alleanza che si facesse promotrice di riforme costituzionali ed istituzionali pericolose dal punto di vista della salvaguardia del bene dell’Unità nazionale italiana.

Secondo me, quel poco o tanto di opinione pubblica liberale che c’è in Italia sosterrebbe invece con entusiasmo un’alleanza politico-elettorale a tempo che tendesse a pochi obiettivi concordati:

a) l’abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, per approvare al suo posto una legge elettorale accettabile per tutti, possibilmente con il ripristino dei collegi uninominali, in modo da attribuire la stragrande maggioranza dei seggi con sistema maggioritario, e con una limitata quota di seggi da assegnare con metodo proporzionale cosicché sia comunque garantito il pluralismo delle forze politiche in Parlamento;
b) la definizione di un federalismo che non sfasci l’Italia e che effettivamente funzioni, con tutto il necessario corredo di riforme costituzionali, dalle opportune correzioni delle disposizioni del Titolo V della Costituzione che furono introdotte dalla legge costituzionale n. 3/2001, alla riforma del Senato con la fine del bicameralismo perfetto;
c) una politica rigorosa di riqualificazione della spesa pubblica, che non si limiti a tagliare, ma persegua alcuni obiettivi finalizzati alla crescita economica del Paese;
d) una riduzione concreta e sensibile dei costi della politica, accompagnata da una riforma della Costituzione che riduca il numero dei parlamentari secondo quantificazioni coerenti con i dati medi delle Assemblee rappresentative europee e con una radicale riscrittura delle leggi che riconoscono contributi economici alle forze politiche che partecipano alle competizioni elettorali, ai vari livelli di rappresentanza, o referendarie. In nessun caso deve essere consentito che forze politiche possano trarre un vantaggio economico dalla partecipazione alle elezioni, tanto più se escluse dalla rappresentanza per insufficienza di consenso;
e) politiche economiche dirette a rinsaldare la coesione sociale, imputando ai ceti più abbienti i maggiori sacrifici imposti dalla necessità di ridurre il debito pubblico;
f) politiche di privatizzazione (ma non regalie, o svendite) di beni pubblici per contribuire al ripiano del debito pubblico.

A ben vedere, molti dei predetti obiettivi sono stati evocati da quanti, negli ultimi tempi, hanno sostenuto l’esigenza di dar vita, in Parlamento, ad un nuovo Governo “di tregua”, sorretto da tutte le forze responsabili. Posto che l’esperienza ha dimostrato che un siffatto Esecutivo non si può realizzare nell’attuale Parlamento, con gli attuali numeri, perché non farne lo scopo di un’alleanza politico-elettorale che chieda espressamente agli elettori di essere legittimata a portare avanti le sopra richiamate riforme, indispensabili per il bene dell’Italia?

Condizioni di particolare gravità come le attuali giustificano pienamente un periodo di sospensione della normale dialettica politica tra uno schieramento tendenzialmente di Centro-destra ed uno tendenzialmente di Centro-sinistra. Non si può regalare al Centro-destra attuale il premio di maggioranza alla Camera; non ci si può limitare a sperare di “pareggiare” al Senato. Sono convinto che gli elettori entusiasticamente berlusconiani siano una minoranza nel Paese; una robusta minoranza che, finora, ha goduto di una legge elettorale maggioritaria costruita su misura per le proprie esigenze. Sono altrettanto convinto che la maggioranza assoluta degli elettori italiani voglia un Governo rispettoso dello spirito e della lettera della Costituzione, rispettoso della concezione dello Stato di diritto, capace di tenere l’Italia al riparo da ogni avventura.
In conclusione propongo: si crei una coalizione elettorale all’insegna del patriottismo repubblicano, della quale facciano parte più liste: quella del Partito democratico che, come maggior partito dell’attuale opposizione dovrebbe esprimere anche il candidato designato alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, nella persona dell’attuale Segretario del PD, Bersani; liste di Centro-destra, di Centro e di Centro-sinistra, che si rivolgono all’opinione pubblica moderata, come quelle di Futuro e Libertà, dell’Unione di Centro, dell’API; liste di sinistra come quelle del SEL e di Italia dei Valori.

La legge attuale prevede che possano concorrere al riparto dei seggi tutte le liste aderenti ad una coalizione, che ottengano, ciascuna, una quantità di consensi non inferiore al due per cento del totale nazionale dei voti validi espressi. Si potrebbe tranquillamente mettere in campo una coalizione con sette o otto liste che abbiano i requisiti minimi predetti e che raccolgano, al proprio interno, un arco ancora più ampio di forze politiche responsabili che vogliono essere della partita (liberali del PLI, repubblicani della tendenza di Giorgio La Malfa e di Luciana Sbarbati, liberaldemocratici, socialisti, verdi, radicali). L’obiettivo deve essere quello di vincere; quindi, senza assecondare stupidi veti e senza favorire la dispersione di voti.

Si potrebbe prendere l’impegno, di fronte agli elettori, che, in caso di vittoria elettorale, la responsabilità di guida del Ministero dell’Economia sarebbe affidata ad un tecnico di valore e di riconosciuto prestigio nella dimensione europea ed internazionale; penso, ad esempio, all’attuale Governatore della Banca d’Italia. I più importanti leader della parte più moderata dell’attuale opposizione, da Fini, a Casini, a Rutelli, dovrebbero essere destinati ad incarichi ministeriali tali da rendere, immediatamente, il senso del loro pieno e fattivo coinvolgimento nell’avvio di una nuova fase politica.

Più in generale, tutti i leader di questa alleanza politico-elettorale dovrebbero assumere, pubblicamente, un impegno da gentiluomini di non mettere in discussione l’azione del nuovo Governo e di non mettere in pericolo la sua maggioranza parlamentare per un periodo, in ogni caso, non inferiore a tre anni, a far data dalle elezioni. Il che comporta l’impegno a moderare i toni e a rinunciare, ognuno, ad una parte dei propri obiettivi politici. Senza esludere, naturalmente, di poter concludere la legislatura se il bilancio delle cose da fare fosse positivo e quindi incoraggiante a continuare ad operare.

Questo Governo di tregua servirebbe ad accompagnare la definitiva uscita di Berlusconi dalla scena politica. Un’uscita che, personalmente, vorrei fosse non traumatica, ma il portato fisiologico dell’esaurirsi di un impegno, condotto al massimo livello per quasi un ventennio. Con conseguente radicale ristrutturazione del campo del Centro-destra e, quindi, con nuovi scenari, oggi imprevedibili, che aprirebbero nuove opportunità di azione per tutti.

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