Il Magreb

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sintesi dell’ incontro degli Amici della Fondazione Einaudi del 14 dicembre 2010

di GDM

L’incontro è stato il primo di una serie dedicata alla “competizione nel mondo globale”. Relatori sono stati Sandro Costa, già responsabile dell’ICE di Algeri e Casablanca, Franco Rizzi, segretario dell’Unione delle università del Mediterraneo (UNIMED), e Armando Sanguini, già ambasciatore d’Italia a Tunisi. Ha presieduto Enrico Morbelli. I diversi “vissuti” e le diverse sensibilità dei relatori hanno dato del Magreb un quadro complesso e a più dimensioni.

Franco Rizzi ha spiegato che la UNIMED – raggruppando 80 università del bacino mediterraneo – lavora per favorire la comprensione delle diverse realtà dei popoli del bacino contribuendo alla risoluzione di problemi che poi tratterà la politica. UNIMED partecipa a progetti dell’Unione Europea, della Banca Mondiale e di altri organismi internazionali. Per Rizzi il Mediterraneo sta diventando sempre più un elemento secondario all’interno di una strategia più generale. La parola partner nei confronti dei paesi del sud del Mediterraneo è stata usata per la prima volta nelle dichiarazioni di Barcellona; in passato si parlò di una zona di libero scambio poi non attuata. Si è avuta una deriva delle proposte dell’UE e l’attuale situazione è abbastanza bloccata. Una delle cause della difficoltà esistenti nel Mediterraneo è il conflitto israelo-palestinese; causa che si aggiunge ai problemi interni dei paesi della sponda sud e che consistono tra l’altro in una classe dirigente al potere da molti anni e nel suo ricambio non facile, per il quale si usano elezioni alquanto guidate in una democrazia altrettanto guidata e dove capita che i partiti esistenti siano finanziati da quelli principali. In questa situazione ci si domanda cosa avverrà in futuro.
L’ambasciatore Sanguini ha evidenziato i forti squilibri esistenti tra Magreb, inteso come insieme di Marocco, Algeria, Tunisia con aggiunta della Libia, e Italia ed Europa: la superficie dei quattro paesi è di 4.750.000 kmq a fronte dei 300.000 dell’Italia e dei 4.700.000 dell’Europa Unita, gli abitanti sono 84 milioni nel Magreb e 495 milioni in Europa mentre il PIL è rispettivamente di 371 Mdi e 14.000 Mdi di dollari. Lo squilibrio è evidente anche se in quello territoriale va considerata la presenza nel Magreb di uno sconfinato deserto, per il quale è stato calcolato che il calore di una sua piccola porzione potrebbe essere trasformato in elettricità sufficiente a riscaldare tutto il Vecchio continente.

Lo squilibrio economico-sociale evidenziato da questi numeri è causa di forti pressioni verso l’Europa e non sarà colmabile in tempi anche lunghi nonostante i tassi di sviluppo di questi paesi siano compresi tra il 4 e il 6%. Una delle cause del fallimento di un ipotetico partenariato sta nel fatto che l’Europa ha affrontato il problema di questi squilibri e della conseguente pressione verso di essa prevalentemente dal punto di vista della sicurezza; invece di inquadrare il problema migratorio in una visione di politica estera di co-sviluppo, oltre che di partenariato, e con creazione di posti di lavoro in loco. La realizzazione di un mercato del lavoro transmediterraneo, che comprendeva tra l’altro tutti gli uffici del lavoro della Tunisia collegati in rete, fallì anni fa per cause burocratiche; il progetto fu poi definitivamente accantonato con la legge Bossi-Fini. Il Magreb durante la guerra fredda è stato importante terreno di confronto delle influenze Usa-Russia, poi la caduta del muro di Berlino ha provocato uno spostamento di interessi verso i paesi dell’est e l’importanza dell’asse Nord-Sud si è ridotta a vantaggio di un asse Est-Ovest facendo del Magreb una zona periferica. Ma il bacino del Mediterraneo ha anche fattori che fanno sperare: esso sta diventando uno dei punti di massima concentrazione dei trasporti, un “hub” della competitività internazionale e dell’offerta asiatica verso occidente; il Magreb è inoltre un punto interessantissimo sotto il profilo energetico: un terzo del nostro fabbisogno energetico in termini di petrolio e gas è soddisfatto da Libia e Algeria, e per la Tunisia passa un vettore del gas algerino; da considerare inoltre, da un punto di vista globale, quella vera ricchezza che sono le grandi riserve di petrolio presenti in Libia e Algeria.

Per Sandro Costa: il grande mercato del Magreb è l’Algeria; essa ha un’economia centralizzata nelle mani del settore pubblico; ha solo idrocarburi che determinano oltre il 90% del suo PIL e il 98% delle sue esportazioni. Venti anni fa in quel paese avevamo quasi il monopolio dei grandi lavori, poi l’inerzia e la miopia della SACE e di tutto il sistema di assicurazione del credito all’esportazione ci fece rinunciare a molti grandi lavori legati alla realizzazione di gasdotti; è vero che allora l’Algeria era molto indebitata verso l’Italia ma la nostra forte importazione di petrolio era di per sé una garanzia di recupero dei debiti. Ora l’Algeria, che a seguito dell’aumento del prezzo del petrolio ha accumulato forti riserve finanziarie, deve fare grandi lavori di urbanizzazione, di realizzazione della metropolitana di Algeri, di autostrade e rete ferroviarie. Solo per la rete ferroviaria ha stanziato 7,3 Mdi di euro da spendere nei prossimi 5 anni. Dovremmo approfittare di questo momento perché dopo anni di appalti a ditte cinesi e successiva delusione per la loro scarsa qualità l’Algeria sta tornando a noi. Nel Magreb l’Algeria offre molta possibilità di lavoro; dopo la Libia, che ha disponibilità enormi, essa è il mercato più grande, mentre chi cerca partenariato e creazione di imprese miste è il Marocco dove il mercato non è grande ma che ha buone infrastrutture e mano d’opera, anche quella non esecutiva, a basso costo.

Dopo il primo “giro” di interventi è prevalso tra i relatori uno scambio diretto e immediato. Si è osservato che l’Algeria, con un’economia ancora “imbracata” e di stampo postsovietico, è adatta ai grandi lavori mentre Tunisia e Marocco non avendo petrolio hanno dovuto sviluppare una capacità di trasformazione dei prodotti ed hanno quindi una realtà economica adatta allo sbocco di piccole e medie imprese; i dati del nostro import-export con questi due paesi è falsato: i numeri sono “numeri interni” perché di fatto esportiamo materiale che poi reimportiamo trasformato, come per i tessuti che, esportati, reimportiamo poi sotto forma di abbigliamento. Altro futuro della sponda sud del Mediterraneo è il turismo, in particolare nel Marocco: le coste europee sono occupate da costruzioni: là lo spazio è aperto e “stare lì costa meno che stare a casa propria”.
Gli scambi di opinione si sono poi incentrati sulle possibili cause di incomprensione tra Europa e mondo islamico, sulla ricerca e crescente affermazione, da parte dei paesi islamici, di una propria identità; e sulla considerazione di Rizzi che quello che avverrà non dipende dai soli fatti economici, anzi, in un certo senso ne prescinde: ci sono altri fattori.

Nella laica Tunisia, dove Burghiba si faceva fotografare con un bicchiere di vino in mano e dove nelle università è tuttora vietato portare il velo, le ragazze che portano il velo sono in aumento. Franco Rizzi ha posto il problema del lascito della colonizzazione, che “non è quella dei romani” ma dell’Europa del secolo scorso, degli eserciti che andavano lì per imporre e dei “massacri perpetrati dagli italiani brava gente”: nei popoli, anche senza conoscere la storia, si hanno sempre processi di osmosi che si espandono nelle falde delle società lasciando il segno. Ha ricordato l’affermazione di Sarkozy che “è ora di voltare pagina”, aggiungendo che “prima di voltarle le pagine vanno lette e capite”. Si è parlato di una mancanza di metabolizzazione del passato provocando la domanda del perché alcuni paesi hanno metabolizzato ed altri no; si è affermato che il nodo della decolonizzazione non è ancora risolto, così come e aperto e bloccante il problema israelo-plaestinese.

È stata posta la domanda se per Gheddafi fare i conti col passato significa ricattare, farsi costruire autostrade e pretendere soldi per impedire le migrazioni verso l’Europa. Si è affermato e negato uno scontro di civiltà: “non sono le civiltà che si scontrano ma gli uomini con le loro ideologie”. È stato messo in evidenza che il rapporto che hanno i paesi di cultura islamica con il lavoro, la finanza e gli affari è diverso dal rapporto che hanno con essi gli uomini di cultura occidentale, e che “nel Magreb non vedrete mai dei bambini chiusi in una stanzetta di un metro per un metro a cucire palloni”. Si è parlato della storica tendenza dell’Europa a esportare il proprio modello culturale ovunque e di una tendenza a capire più il mondo orientale che quello di cultura islamica. Le opinioni sono state diverse ma una considerazione ha accomunato i partecipanti al dibattito: la necessità di mettersi ognuno nei panni altrui, la considerazione che finché ognuno vive solo il proprio film ignorando quello altrui non ci sarà comprensione, e che per lavorare insieme bisogna conoscersi e capirsi.

La domanda sul “cosa avverrà in futuro” è rimasta aperta e il dibattito si è concluso con più interrogativi che risposte, come è bene che sia. Un mondo aperto al futuro è un mondo di punti interrogativi, le affermazioni “chiudono” mentre sono i perché che lasciano aperti discorsi che sono e saranno lunghi e imprevedibili quanto la storia.

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