Mivar, finisce il sogno della tv made in Italy?

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di NOVE

La storia della Mivar (Milano Vichi Apparecchi Radio) comincia nel 1945, anno in cui il suo fondatore – Carlo Vichi – si mette in testa di costruire e vendere apparecchi radio progettati e prodotti in Italia. Nel 1963 il salto nel buio: l’azienda decide di puntare tutto sulle potenzialità commerciali della televisione. Entra in concorrenza diretta coi produttori stranieri e Vichi capisce subito che l’unico modo per spuntarla, è quello di competere sui prezzi. Con una parsimoniosa gestione delle spese pubblicitarie riesce nell’impresa di mantenere i televisori Mivar a prezzi bassi. Negli anni 90 – forte di una posizione di mercato faticosamente consolidata – la Mivar inaugura ad Abbiategrasso un nuovo stabilimento di 120.000 metri quadri. I pregi indiscutibili dei prodotti Mivar sono la robustezza, la longevità e la semplicità d’uso. Le linee severe e rigorose dei televisori Mivar suggeriscono molto della personalità complessa del patron Vichi che usa sfoggiare, appuntata sulla giacca, la spilla col fascio littorio.

Ma alla Mivar avevano fatto i conti senza l’oste: l’azienda rimane ferma sul versante dell’innovazione tecnologica in un settore che non ammette ritardi. Dai produttori stranieri arrivano i primi televisori al plasma e poi gli Lcd. E’ il disastro per la Mivar. Nel maggio 2005 l’azienda ricorre alla cassa integrazione a zero ore per buona parte della sua forza lavoro. Vichi però, nonostante la sua azienda ne usufruisca, non dimostra di apprezzare questo ammortizzatore sociale: « La situazione è bella qui alla Mivar – ha dichiarato Vichi in un’intervista rilasciata a Giornale libero.com – io sto bene. La maggior parte dei miei dipendenti sono in cassa integrazione, uno strumento che non dovrebbe neppure esistere. Mi chiedo: se viene una grandinata che distrugge i campi di un contadino, questo se ne va al mare o si rimbocca le maniche per ricostruire tutto da capo? Sicuramente tenta di rimediare. Ed è quello che dovrebbero fare tutti, qui dentro. Purtroppo, però, mancano le condizioni».

Nel 2008 non si vede ancora la fine del tunnel. Voza Jonatan (amministratore di un grande mobilificio di Milano) e Roberto Albetti (attuale vice presidente del Consiglio della Provincia di Milano) propongono alla Mivar un piano aziendale realistico con l’intenzione di consolidare l’azienda e rilanciarla. La proposta viene respinta dalla propietà. Vichi, determinato come sempre, tira dritto per la propria strada. Crede di avere la risposta ai guai della Mivar ed è la stessa di quando aveva cominciato a produrre televisori: abbassare i prezzi. Non vuole associarsi a nessuno per discutere piani aziendali che non siano esclusivamente sui. Va in Asia a cercare componenti per televisori Lcd a basso prezzo. «Sono andato a trattare coi cinesi –spiega Vichi al redattore del Giornale libero.com – . Acquisto i componenti da questa brava gente che, al contrario degli italiani, rispetta ancora i superiori e lavora molto. Poi faccio montare questi pezzi sui nuovi televisori Lcd Mivar».

Ma i suoi sforzi non bastano, il mercato è cambiato e non è più quello degli anni ’60. La produzione di televisori Mivar scende dalle migliaia dei tempi d’oro a 200 pezzi al giorno. La concorrenza straniera ha imparato la lezione e non abbocca più ai trucchi di Vichi; inoltre il ritardo tecnologico accumulato dalla Mivar appare sempre di più incolmabile. La situazione è critica: secondo Beppe Viganò (rappresentante sindacale Cisl dei lavoratori Mivar) nel 2008 l’azienda registra perdite per quasi 4 milioni di euro. Il 3 settembre 2008, nella sede del ministero del Lavoro a Roma, è stato approvato il ricorso alla nuova cassa integrazione sino al 2010, evitando così 350 licenziamenti. Finisce così il sogno di una televisione made in Italy?

Medeaonline.net

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