L’opzione nucleare

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Relazione del Prof. Carlo Bellecci * al Convegno “Gli enti locali e l’opzione nucleare”

Ho sempre lavorato sul tema dell’energia e attualmente insegno “fisica dell’energia nucleare” al corso di laurea Specialistica in Ingegneria Energetica alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “Tor Vergata”.

Durante il convegno ho sentito cose molto interessanti, l’unica osservazione che vorrei fare è sull’affermazione che l’incremento a livello globale del consumo di energia è destinato a fermarsi: non credo sia così ed esistono molti studi che dimostrano il contrario.
Il gradiente – cioè l’aumento dei consumi di energia sotto qualunque forma – ed il consumo globale di energia di un popolo – sono strettamente legati alla crescita della qualità di vita. Se si analizzano i consumi energetici di un Paese e si adopera uno qualunque dei possibili indicatori della qualità di vita, si nota che, affinché un Paese possa migliorare i suoi standard sociali, deve necessariamente aumentare i consumi energetici.

Questa affermazione è suffragata da numerosissimi dati storici relativi ai consumi energetici degli ultimi 200 anni dei diversi paesi nel mondo.
Mentre un tempo solo una piccola parte dalla popolazione mondiale aveva un elevato livello di vita, oggi, con il diffondersi delle informazioni e la facilità delle comunicazioni, questo rapporto è cambiato. Il benessere si sta diffondendo e Paesi che prima, per ignoranza, accettavano di vivere in condizioni miserrime, oggi cercano di raggiungere anch’essi il benessere.
Questa evoluzione ha portato da un lato a fenomeni migratori dai paesi più poveri verso quelli più ricchi e dall’altro che molti paesi del cd. Terzo Mondo stanno migliorando la loro condizione e per farlo tendono a consumare sempre maggiori quantità di energia. E così sarà fintanto che non si raggiungerà un equilibrio.
Pertanto il consumo energetico è destinato ad aumentare e l’aumento di fabbisogno di energia tenderà ad incrementare le tensioni a livello internazionale.

Veniamo adesso all’Italia. Il nostro Paese, in ragione della densità di distribuzione della popolazione sul territorio e della sua situazione geo-morfologica, non potrà mai essere un paese nucleare come la Francia. Non è possibile pensare che, in un futuro più o meno remoto, il fabbisogno energetico possa essere coperto in quantità significative dalla fonte nucleare.
Alla luce di ciò, c’è da chiedersi per quale motivo oggi si riparli di energia nucleare.

In Italia avevamo, negli anni ’50 e in parte degli anni ’60, una posizione che ci poneva all’avanguardia nel mondo in questo campo. Le prime centrali, Borgo Sabotino e Garigliano, erano impianti che all’epoca ponevano l’Italia all’attenzione del mondo. Poi, per un complesso di fattori, le attività nazionali nel nucleare sono andate scemando e l’industria italiana ha iniziato a rallentare, fino al referendum del 1986 con il quale si è definitivamente fermata.

Consideriamo ora cosa è un centrale nucleare: si tratta di un impianto in cui una piccola parte è prettamente nucleare – il nocciolo e poche cose intorno ad esso – mentre il resto è simile a quanto si trova in una qualsiasi centrale termo-elettrica.
Infatti, una volta che l’energia nucleare è stata convertita in calore, il processo per passare da questa quantità di calore all’energia elettrica non è molto diverso da quello che troviamo in una centrale termo elettrica di tipo convenzionale alimentata a carbone o a gas.
L’industria italiana negli anni del miracolo economico era ben avviata in questo campo, dopo il referendum sul nucleare ha continuato a mantenere un buono standard a livello mondiale nelle lavorazioni correlate alla parte non nucleare delle centrali, mantenendo in tal modo una discreta posizione nel mercato internazionale.

Oggi il nucleare è ripartito in tutto il mondo: in India, Russia e Cina c’è una sempre maggiore richiesta di centrali, ma in Europa il settore dell’industria nucleare è sostanzialmente fermo, anche se vi sono cenni di ripresa.
Guardando all’Italia, appare evidente come l’unico comparto che cammini è il terziario, che però non ci permette di produrre “qualcosa da vendere” all’estero.
L’Italia non ha materie prime, non ha agricoltura, non ha fonti energetiche.
Quindi che cosa siamo in grado di commerciare fuori del nostro Paese in modo di acquistare il grano, le patate o ciò che ci serve? La risposta è solo una: possiamo vendere know how.
Se noi, dimostrando che sappiamo fare, riusciremo a riconquistare la posizione che avevamo negli anni ’50 e ’60, potremo concorrere a costruire le centrali nucleari che si faranno in Cina, India, Russia e Africa. Perché questi paesi, se vorranno evolversi e migliorare la qualità della vita, avranno bisogno di energia a qualunque condizione.
Ricordiamo infatti che, mentre in Italia le miniere di carbone sono state chiuse perché inquinavano ed erano pericolose, queste in Cina continuano tutt’oggi ad essere usate anche se ogni anno vi muoiono 2000 minatori cinesi, perché hanno bisogno di energia “costi quel che costi”.
A Pechino non si respira per l’inquinamento e chiaramente tutti sanno che le centrali a carbone, costruite male e senza depuratori, avvelenano l’atmosfera, però o si produce più energia elettrica, o il paese si ferma.

Allora perché costruire qualche centrale nucleare in Italia? Certo non per risolvere i problemi energetici del Paese – perché l’energia nucleare può solo costituire una piccola fetta della produzione energetica nazionale – ma in primis per riqualificare la nostra industria e mostrare al mondo che le aziende italiane hanno la capacità di produrre e di gestire impianti nucleari; in tal modo potremo proporci come competitor sui mercati esteri.
Ma la situazione in Italia per ora è ben diversa. Io vengo dall’Università e di docenti di fisica e di ingegneria nucleare siamo rimasti in pochissimi; di giovani, poi, non ce ne sono proprio. Ormai gli atenei in cui è presente il corso di laurea in ingegneria nucleare sono solo cinque o sei al massimo.
Al mio corso a Roma, quest’anno sono iscritti solo quattordici studenti: questo è un problema.

L’ENEL ha ripreso la strada dell’industria nucleare, partecipando e vincendo una gara per la manutenzione di una centrale in Romania, ma per questa commessa, non avendo più tecnici italiani, ha chiesto ad una società francese di prestargli degli ingegneri che, pagati dall’ENEL, stanno svolgendo un lavoro che avrebbero potuto eseguire degli italiani.
L’ENEA, quando si chiamava CNEN, all’epoca in cui fu costruita la centrale di Caorso, mai entrata in funzione per il referendum, aveva uno stuolo di tecnici e ingegneri nucleari estremamente competenti, ma con la chiusura del nucleare, anche questa risorsa è andata perduta. Gli ingegneri, che si erano laureati 25 anni fa, hanno dovuto cambiare mestiere, sono andati a lavorare in altri settori e si è dispersa una immensa ricchezza.

In conclusione non ha senso parlare di produzione di energia elettrica basata esclusivamente sul nucleare, è opportuno invece avviare un processo che consenta alla nostra industria di qualificarsi per produrre e vendere know how nucleare all’estero. Perché come anticipato se non venderemo know how, non avremo altro che ci possa consentire di acquisire ricchezza.

..applausi..

Relazione tratta dagli interventi al convegno “Gli enti locali e l’opzione nucleare” di giovedì 28 Ottobre 2010, organizzato da “TAVOLO per l’Energia, l’Ambiente ed il Nucleare” e da “Noi e l’Europa”. Adattamento di Salvatore Italia

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