Il bicchiere malfatto del “partigiano Michele”

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di LUCA MARTINELLI

Permettetemi per una volta di spezzare una lancia per il Direttore Generale della RAI, Mauro Masi. Io non ritengo che il suo provvedimento di sospensione (già annullato perché c’è un ricorso pendente) nei confronti di Michele Santoro sia un “attentato alla democrazia”. Anzi, ritengo che Santoro, nel caso specifico, abbia torto marcio.

Limitiamoci a vedere i fatti: Santoro, nel bel mezzo di uno dei suoi monologhi in cui paragonava il suo lavoro a quello di un operaio che fabbrica bicchieri, omaggia Masi di un “vaffanbicchiere” in diretta televisiva; Masi risponde applicando una sospensione di 10 giorni, con conseguente trattenuta di stipendio, a Santoro. Segue la solita cagnara a difesa del “povero” Santoro.

Ma il popolare presentatore può davvero essere paragonato ad un operaio in una fabbrica di bicchieri? Non parlo dello stipendio che percepisce, ma della possibilità che ha di cavarsela con solo dieci giorni di sospensione. Perché, per la cronaca, quella applicata da Masi è la seconda misura più dura che si possa prendere nei confronti di un lavoratore. Di peggio, c’è solo il licenziamento in tronco.

Un operaio o un dipendente comunemente non hanno la possibilità di mandare affanbicchiere il proprio superiore. Se uno di loro si fosse permesso di farlo di fronte a tutti i colleghi di lavoro, molto probabilmente sarebbe stato licenziato in tronco, altro che sospensione. Poi certo, avrebbe potuto fare ricorso. Ma sarebbero passati anni, prima dell’eventuale reintegro. Non parliamo poi se un precario si fosse permesso di farlo: sicuramente il contratto non gli sarebbe stato rinnovato – e consentitemi di nutrire forti dubbi su come sarebbe proseguito quello in corso.

Dunque, Santoro sapeva di potersi permettere il classico “tanto peggio, tanto meglio”. Sapeva che Masi era debole, perché qualunque cosa avrebbe fatto, sarebbe stata comunque considerata (più a ragione che a torto, ad onor del vero) come esecuzione di ordini altrui. Sapeva che, in ogni caso, avrebbe avuto dalla sua a prescindere una nutrita schiera di persone. Sapeva, insomma, che se avesse costretto Masi a reagire duramente, sarebbe stato lui a uscirne vincitore e non il suo opponente.

Il porsi come vittima (anche a ragione, a volte) di un accanimento personale, il ricorrere al popolo perché risponda con dimostrazioni di affetto e solidarietà, la provocazione come mezzo per rilanciare sempre più i toni dello scontro – questo metodo di raccolta del consenso personale non vi sembra, però, di averlo già visto da qualche altra parte?

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