Sicurezza, sviluppo e democrazia: quanto ancora c’è da fare?

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di CLAUDIANA DI CESARE

Sabato, a Palazzo Montecitorio, si è tenuto il meeting su “Sicurezza, sviluppo e democrazia” promosso dall’Alliance of democrats e dal Partito Democratico Europeo: una tavola rotonda con partecipanti di circa 30 Paesi e una lista di interventi politici importanti e trasversali.
Tra gli splendidi arazzi della Sala della Lupa, si discute di politica estera, sicurezza internazionale, terrorismo, attuali e futuri assetti geopolitici e i pericoli di una nuova possibile guerra fredda. Una location solenne e quanto mai adatta per riflettere sulle implicazioni, la forma e la sostanza della democrazia, come ricorda Gianfranco Fini nel suo intervento di apertura: «Forse molti di voi non lo sanno, ma qui nel 1924 si riunirono i deputati che si opposero alla dittatura e qui nacque la Repubblica».
Gli interventi di Francesco Rutelli, co-presidente del Partito Democratico Europeo, e di Gianni Vernetti, coordinatore dell’Alliance of democrats – network di oltre 60 partiti politici di ispirazione liberal democratica – aprono ufficialmente i lavori. L’obiettivo della conferenza è chiarire la situazione globale attuale, fare il punto sul futuro democratico 9 anni dopo l’11 settembre e confrontarsi sulle crisi internazionali in atto e le possibili soluzioni da analizzare e adottare. Ogni intervento è teso a rivendicare l’assoluta, primaria necessità di garantire lo sviluppo e la sicurezza, precondizioni per un avvento di sistemi democratici stabili e duraturi.

«L’alleanza dei democratici – chiarisce infatti Fini – individua tre grandi questioni: la sicurezza, lo sviluppo e soprattutto cosa si debba intendere per democrazia. Oggi tutti, almeno in Europa, sono consapevoli che non si parla di democrazia se non ci sono lo sviluppo e la sicurezza, che ne sono precondizioni».
Elementi come la presenza di un parlamento libero, lo svolgimento di elezioni regolari, l’equilibrio tra i vari poteri dello Stato, sono sicuramente fondamentali, ma la democrazia non nasce da queste scelte strutturali: è una condizione che deve risiedere all’interno della coscienza di ogni popolo.

«In certi momenti, anche recenti – continua il Presidente della Camera – si è pensato che in alcune aree calde del pianeta fosse sufficiente abbattere le dittature per vedere automaticamente sorgere delle democrazie. La storia dimostra che il processo è invece assai più complesso».

L’impegno globale deve essere quindi orientato a diffondere i valori democratici, piuttosto che a celebrare il momento in cui, attraverso le elezioni, viene sancita la nascita dei parlamenti e di nuove istituzioni. E per diffondere i valori c’è bisogno di cooperazione, integrazione, conoscenza delle culture altre, rispetto delle identità.

Prendono quindi la parola anche Pier Ferdinando Casini, Franco Frattini, Enzo Bianco e, di sfuggita, Piero Fassino. Il ruolo dell’Italia e dell’Europa nelle strategie per la sicurezza internazionale è centrale e sulla politica estera le forze politiche italiane presenti scoprono nuove e vecchie assonanze, convergono armonicamente – e in maniera quasi profetica – in una sorta di terzo polo, come a configurare il primo tentativo comune di politica estera prima delle prossime elezioni. «Abbiamo votato per le missioni dei nostri soldati in Afghanistan e lo abbiamo fatto proprio in nome delle tre parole chiave di questo convegno», afferma Pier Ferdinando Casini quando prende la parola, «ed è grazie alle grandi questioni internazionali che anche in Italia siamo riusciti a volare alto. Non è un caso che qui ci accorgiamo di condividere le posizioni del ministro Frattini: vale per me, per Rutelli che ci invita a discutere di alta politica, per Fassino. Sulla politica estera dunque ci accorgiamo di essere tutti uniti».

Alle note introduttive dei politici italiani, seguono gli interventi dei rappresentanti delle aree più calde dello scacchiere internazionale.
In mattinata, prendono la parola il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno Massoud Barzani, l’ex ministro degli Esteri e attuale vertice del Consiglio di sicurezza afghano Rangeen Dafdar Spanta, l’ex capo di Stato maggiore israeliano Dani Haloutz ed il co-presidente del Partito democratico François Bayrou.

Il presidente della regione autonoma del Kurdistan, Massoud Barzani, ricorda che sono passati 208 giorni dalle elezioni, ma che l’Iraq non è ancora in grado di darsi un nuovo governo. «Siamo totalmente disponibili a partecipare a qualsiasi tipo di governo che voglia sostenere la Costituzione e lavorare insieme a tutti gli altri gruppi iracheni – ha annunciato Barzani, – Non ci interessa chi sia il primo ministro, ma solo che abbia rispetto per la libertà, la democrazia e le leggi”. In chiusura, il Presidente ha anche aggiunto che la strada è ancora molto lunga e il suo paese dovrà lottare per superare il suo sanguinoso passato, chiedendo il sostegno politico dell’Italia perché la regione curda sviluppi “relazioni bilaterali” autonome con il resto della comunità internazionale.

Poi è la volta di Rangeen Dafdar Spanta, capo del consiglio nazionale di sicurezza dell’Afghanistan, che racconta le enormi difficoltà che il Paese sta attraversando e gli sforzi che il suo popolo affronta quotidianamente – con fatica e fierezza – per istituire e concretizzare la prima vera democrazia del Paese.

Franco Frattini, Ministro degli Affari Esteri, interviene chiarendo il ruolo dell’Italia e della comunità internazionale in questo contesto: «Siamo stati convinti assertori che più scuole e strade, più infrastrutture sanitarie e università, più tribunali, più amministrazioni locali sicure, più diritti per tutti, e in particolare per le donne afgane, sono obiettivi alla portata di uno sforzo convergente e sistemico di tutti quanti intendano dare una mano per recuperare l’Afghanistan» . La nostra presenza in questo paese «non si limita ad un contingente di circa quattromila militari, ma include un forte apporto alle attività di formazione, con le attività di cooperazione allo sviluppo, il sostegno per la ricostruzione, il rafforzamento istituzionale e alla giustizia, le opere sanitarie, lo sviluppo rurale e delle infrastrutture».

È la volta di Dan Haloutz, ex capo dell’Israel Defence Forces, che espime preoccupazione per la situazione della triade Libano-Iran-Siria, e di Mohammed Nosseir, segretario del partito democratico egiziano, che, in maniera piuttosto diretta, illustra l’impossibilità di raggiungere la tanto agognata pace se il governo di Israele non deciderà di abbandonare i territori occupati.
Segue un panel sulla situazione europea con un esponente del pd polacco, Pawek Piskorski, il leader del primo partito basco oggi all’opposizione (Pnv), Inigo Urkullu ed Enzo Bianco.

Dopo la pausa pranzo, il dibattito riprende con la questione Sudan del Sud/Darfur. Prendono la parola Luka Biong Deng, Ministro alla presidenza del consiglio del Sud Sudan, Guido Milana, dell’assemblea Parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo, Kasit Piromya, Ministro degli Affari Esteri della Thailandia e gli esponenti di altri paesi asiatici come Taiwan, Giappone, Cambogia e Sri Lanka.
Con Luka Biong Deng e Milana si affronta la situazione della crisi africana e si analizzano i possibili sviluppi. Frattini riferisce che l’arco di instabilità che va dal Corno d’Africa allo Yemen “getta ombre inquietanti sulla sicurezza internazionale”. Il quadro sembra caratterizzato dalla «coesistenza di tutti quei fenomeni critici per la sicurezza internazionale che minacciano il mondo contemporaneo».

Biong Deng auspica l’applicazione di un accordo globale che permetta al Sudan di affrontare le sfide di pace, sviluppo e solidità. Inoltre, si interroga sugli esiti dell’imminente referendum, in programma a gennaio, che potrebbe sancire la secessione del Sudan del Sud: “Il Sudan potrebbe non essere pronto ad affrontare una separazione. Bisogna garantire che sia il popolo a decidere tramite libere elezioni, ma c’è bisogno di un sostegno e di una presenza internazionale che eviti lo scoppio di una guerra civile”. Johan Van Hecke, presidente dell’ALDEPAC (Alliance of Liberals and Democrats for Europe, Pacific, Africa and Caribbean), prosegue illustrando la situazione critica del Corno d’Africa, che è forza «la zona più ricca di conflitti del mondo intero. Ci sono lotte politiche di identità, problemi regionali tra gli Stati, crisi politiche interne. Tutta una serie di conflitti che sono minacce transnazionali e interconnesse». Interviene ancora Frattini, secondo il quale il quadro presente rende necessaria l’adozione di «un approccio onnicomprensivo che affianchi ai contributi militari per il contrasto alla pirateria, gli interventi di cooperazione allo sviluppo e di sostegno alle istituzioni, le azioni di stimolo al ruolo delle organizzazioni regionali, ma anche il coinvolgimento della diaspora somala in Europa».

L’ultima parte del convegno è incentrata sull’Asia. In particolare, gli interventi analizzano la situazione del sud est asiatico e sono tesi a manifestare la necessità di rilanciare il binomio sviluppo e democrazia: elementi che devono avanzare insieme, a differenza di quanto succede in Cina, in cui, nonostante un evidente progresso economico, c’è un’assoluta mancanza di democrazia e di tutela dei diritti fondamentali. Una situazione grave, secondo Gianni Vernetti, promotore del meeting, soprattutto perché il regime cinese potrebbe pericolosamente essere preso a modello: «ci sono stati africani che hanno iniziato a guardare a questo sistema politico come ad un modello da copiare».

Tutti gli interventi del meeting, nonostante arrivino da aree così distanti e diverse tra loro – dall’Africa all’Asia, passando per l’Europa e il Medioriente – si possono collegare virtualmente con un filo d’oro, quello della difesa dei diritti umani e della promozione della democrazia nel mondo, a significare quanto ancora c’è da fare e da investire in questo campo per garantire una pace internazionale solida e duratura. E l’Italia vuole schierarsi in prima linea per il raggiungimento di questo ambizioso traguardo, perché “un grande paese non si misura soltanto per le dimensioni del proprio Pil ma anche per il sistema di valori che è in grado di proporre”, sigla Vernetti nella parte finale del convegno.

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