Per Israele il rischio può venire dal Libano

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di ANTONIO PICASSO

L’attacco alla flottiglia pacifista ha sollevato un polverone contro Israele in ambito internazionale. Tuttavia i Governi israeliani hanno sempre attribuito poco peso alle tensioni diplomatiche sorte come reazione alle loro decisioni militari. Per Israele è ben più preoccupante un’azione vendicativa da parte di qualche gruppo palestinese. In questo caso ci potrebbero essere tre possibilità. Un intervento diretto da Gaza, con una pioggia di razzi su Sderot e Ashkelon. Una serie di attentati individuali nelle strade del Paese, non orchestrati da nessuno, bensì proditorie iniziative dei singoli. Oppure un attacco alle spalle da Libano del Sud. La prima possibilità ha un punto debole, cioè il fatto che la Striscia è governata da Hamas, il quale tutto desidera fuorché rispondere alle provocazioni israeliane. Il movimento islamico è guidato da uomini che sanno calcolare politicamente quando sia il tempo di passare alla fase operativa. Né Khaled Meshal a Damasco né Ismail Hanyyeh a Gaza pensano che questa sia l’ora di imbracciare il Kalashnikov. La seconda opzione è quella più pericolosa, perché un singolo attentato potrebbe innescare la miccia per un’escalation generale. Del resto anche dalle regioni meridionali del Libano può essere sparato un razzo senza che né Unifil, né le Forze Armate libanesi, né le stesse milizie di Hebollah riescano a impedirlo. Il “Paese dei cedri” infatti ospita ob torto collo circa 15 campi profughi palestinesi, dove risiede una popolazione di circa 200 mila unita (il 5% degli abitanti del Paese), composta non solo da palestinesi della diaspora post-1948, ma anche dalle generazioni successive, rifugiati iracheni e cittadini siriani. In queste realtà demografiche difficilmente gestibili, si annidano gruppi di miliziani che non fanno parte di nessuna corrente ufficiale della cosiddetta resistenza palestinese. Quindi non sono né sotto il controllo di Hamas e tanto meno di al-Fatah. Si tratta di fedayn che sposano cause di varia tipologia, da quella filo-palestinese alla salafita, fino ad appoggiare al-Qaeda, o essere esponenti di una criminalità organizzata che nasce spontaneamente in simili contesti. Proprio di tutto questo Israele deve tenere conto. Perché la sicurezza interna dei campi profughi è prerogativa della popolazione che vi abita. I Caschi Blu e i soldati del Governo Hariri non si arrischiano ad entrarvi. Gli stessi uomini di Hezbollah hanno difficoltà a entrare in contatto con l’interno di ciascun campo. Una cellula non controllabile potrebbe far degenerare una situazione tesa com’è quella di attuale.

L’altro giorno un caccia israeliano che sorvolava proprio il Libano del Sud – peraltro violando la Risoluzione Onu n.1701 – è stato preso di mira da una “contraerea” non meglio identificata, ma non è stato colpito. L’aereo era impegnato in una delle tante e illegittime missioni di ricognizione effettuate dalle Israeli Defence Forces per verificare la possibile presenza di miliziani di Hezbollah. L’incidente non ha avuto seguito. Tuttavia, con il timore di una terza Intifada, Israele deve sapere chi controllare, pur facendolo nei limiti della legalità internazionale.
Pubblicato su liberal del 5 giugno 2010

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