Morte le ideologie, occore pur sempre un pensiero guida

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di Marco Cavallotti

Serpeggia a destra e a manca una sana voglia di revisione, di ripensamento sulle chiavi di lettura della nostra storia e del nostro operare nella vita collettiva. Questo non sempre avviene con risultati esaltanti, è vero: ad esempio la nuova sintesi di Veltroni, il pensatore al quale si è voluto affidare la creazione e il destino di un partito di sinistra moderno, non sembra vitale. Ma tant’è, il bisogno di superare gli schemi invalsi fra il XIX e il XX secolo è invece vivo e attuale.
A destra e a sinistra sono evidenti i sintomi del venir meno dei modelli di lettura ideologici, dei grandi sistemi interpretativi della realtà, di fronte all’irrompere di un mondo globalizzato e in rapida evoluzione, che non si lascia “capire” e “interpretare” al modo vecchio, a meno di non accettare semplificazioni e banalizzazioni pesanti. La stessa religione, vista nel mio caso da un osservatore esterno, sembra quasi rifugiarsi nella tranquillante dimensione delle opere terrene di fronte alla difficoltà di difendere e sostenere quello spiritualismo e quella fede nell’al di là – la sua dimensione “rivelata” – che le è peculiare.

Certo, il mondo è cambiato più in fretta delle teste degli uomini, e bisognerebbe correre in fretta ai ripari. Ma che fare? Morto e sepolto il marxismo – il tentativo di rianimarlo leggendo l’attuale crisi come la dimostrazione della sua validità è indifendibile –, sostanzialmente liquidate nella loro dimensione metafisica le ideologie con un carattere più marcatamente finalista, neppure il meno rigidamente ideologico e il più flessibile dei modelli interpretativi e predittivi – come il liberalismo – sembra godere di buona salute. Non che quest’ultimo sia mai stato un metodo e un sistema di valori molto “popolare” in Italia. Ma esso appare oggi, agli occhi di molti, troppo attento all’individuo, visto nella sua dimensione di monade, e troppo poco sollecito nel comprendere e valorizzare le istanze che derivano da una società sempre più aperta e globalizzata, sempre più inestricabilmente interconnessa fra scelte private e destini collettivi: in una parola troppo “elitario” ed “egoista”. Ed è in fondo inutile qui sottolineare come la cultura liberale abbia saputo esprimere una sintesi fra libertà individuali e collettive che rimane più disapplicata e misconosciuta di quanto non sia “vecchia” e superata. Questa è la sensazione, il sentimento di molti cittadini, elettori e non.
In fondo è forse anche per questo, oltre che ovviamente per l’origine culturale varia dei suoi esponenti di spicco, che la linea politica di Forza Italia – ed ora quella del PdL – non ha mai imboccato una direttiva ideologicamente netta fra le diverse opzioni che si presentano, oscillando fra istanze e bisogni che avrebbero più il carattere proprio della dottrina sociale della Chiesa, e principi che lascerebbero intendere il prevalere di una visione più marcatamente liberale. Una oscillazione la quale, per coloro che vorrebbero vedere nella grande formazione guidata da Silvio Berlusconi una sorta di partito liberale di massa, par denotare la necessità di una messa a punto sul piano dei “valori condivisi” in seno al movimento.

Da parte di qualcuno per questo problema viene adombrata una soluzione che a me pare un po’ troppo semplice: si veda ad esempio la conclusione di un pezzo recente di Baget Bozzo, pur ricco di spunti interessanti. Rinunciando a priori all’ideologia, l’illustre politologo conclude: «Il mondo degli anni Duemila è così diverso dal Novecento che è impossibile racchiudere in un pensiero la complessità del reale. Nel mondo che cambia l’intuizione vale più del ragionamento, il percepire la realtà vale più della giustificazione del proprio pensiero.» Dove il problema dell’individuazione di criteri-guida adatti all’oggi viene risolto con il volo dell’intuizione: intuizione, ovviamente, affidata al leader.
Ma fra le nuove sfide c’è appunto questa: organizzare un corpo di idee che, seppure non concepite secondo la logica “forte” ma anche “svuotante” di ogni “sistema” del passato, possa in qualche modo servire da base alla formazione delle scelte e degli stessi gruppi dirigenti, in un clima di democrazia e di scelte condivise e al di là delle “intuizioni” di questo o di quel leader: e a ben vedere, in effetti, il problema non riguarda solo il polo di centrodestra, ma il futuro rapporto fra base, quadri e dirigenti dei partiti nella società del XXI secolo.

pubblicato su Il Legno Storto domenica 14 Dicembre 2008

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