Francia e Belgio contro Burqa e Nihab

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di MARTINA CECCO

Il problema è: tutelare la sicurezza dei cittadini, riconoscere la libertà alle donne musulmane in Europa, oppure è un’imposizione dall’alto su come “non ci si deve vestire”?

Sono due fronti opposti che si incontrano: quello europeo e quello islamico. Si tratta di due culture, due diverse concezioni del modo di apparire, due diverse mentalità, non solo quindi due diverse religioni e due diversi stati di diritto: il Burqa o meglio il Nihab non sono solo degli abiti, bensì sono parte integrante della persona, secondo l’islam, un vestito, secondo l’europeo medio. Eppure anche descritta in questi termini la situazione non rende affatto giustizia alla dimensione sociale del problema, perché anche l’islam non ha un fronte compatto in merito alla tolleranza, ovvero alla libertà, di portare o meno il velo.

Il velo o l’abito, la tradizione o l’ideologia, la cultura o la religiosità, sono interpretate anche dalle stesse donne islamiche in modo contraddittorio: da una parte le donne che vivono l’integrazione in europa come momento liberatorio, cioè libertà di non indossare l’abito completo, decidendo per il solo velo o anche senza, dall’altra le donne islamiche che si sentono private della libertà di essere donna se non possono indossare il velo, infine l’integralismo per cui l’abito intero diventa manifestazione di una minoranza etnica, che davvero in Europa ormai minoranza non lo è più, la quale sente il bisogno di difendersi proprio indossando Burqa o Nihab.

Un segno o un simbolo? Se fosse un segno sarebbe sufficiente un piccolo velo. Allora si tratta di un simbolo. Sono molte le culture orientali che considerano l’abito completo una normale condizione di esistere: Afghanistan, Iran, Palestina, ma anche India, Africa, che non lo considerano solo un segno religioso, bensì una protezione, dalla paura di denudarsi, di mostrarsi, di essere visibili. Una invisibilità per proteggersi o per nascondersi?
Il punto della situazione è proprio questo: l’interpretazione del velo può essere descritta proprio così. Quando il velo che protegge incontra l’europeo che ha paura due mondi pieni di terrore, frutto della politica terroristica mal mediata che ha invaso le nostre case dopo l’11 settembre, si scontrano, e si sa che dalla paura manipolata dagli interessi di Governo nasce raramente qualcosa di buono, ed è il caso dell’Europa dei nostri giorni. Quando il velo che nasconde incontra l’europeo che vuole allontanare il diverso nasce invece l’odio razziale, che impedisce alle società multietniche di crescere e di incontrare la buona via di mezzo per aprire la strada alla tolleranza e alla coesione sociale.

Quattro estremismi, dunque, che possono dare frutti del tutto diversi. Il sistema che coordina il pensiero dell’europeo medio non deve perdere di vista la reale ed effettiva conseguenza dell’incontro tra culture, che seppure umano e in quanto tale fallibile, ha un andamento prevedibile dal punto di vista scientifico. Si sa bene, la legge biologica che regola i tratti somatici ci insegna, che i caratteri recessivi lasciano spazio ai caratteri dominanti, secondo regole che non dipendono da un parere o da una ideologia bensì sono conseguenza dell’incontro da fattori diversi.
Il nodo della situazione allora è questo: l’ideologia e la cultura, per tornare al nostro problema, sono dei fattori recessivi, da interpretare nel senso che possono essere modellati alla esigenza, oppure sono dei fattori dominanti, da interpretare come fissi e indiscutibili?

Fintanto che continueremo a pensare che la cultura è frutto del passato e che non va messa in discussione non si potrà che arrivare a uno scontro fatto di qualcuno che soccombe a vantaggio di qualcuno che domina. Se invece penseremo che la cultura è dinamica e si costruisce con la quotidiana esperienza, cioè col “Melting Pot”, allora potremo arrivare a una sintesi di valori e di modi di vivere che sono frutto di una integrazione.
Ecco allora il problema: il problema non è la necessità di decidere se portare il velo è un diritto o è una concessione, bensì capire che cosa è il velo e come mai può essere interpretato in modo negativo o in modo positivo a seconda di che cosa pensano dentro di sè gli attori sociali di questo contesto.
Il velo non potrà essere portato in certi ambienti in paesi come Benelux, Francia (NB: Burqa è vietato in molti paesi occidentali – paragonato dalla legislazione – in modo insensibile – al mascheramento e alla contraffazione della identità – ai vestiti del carnevale e alle maschere del delinquente) da leggersi cioè come il divieto di portare il velo completo, ovvero la libertà di decidere di non portarlo, ovvero il divieto di nascondere il volto delle donne, ovvero il divieto per la donna islamica di sentirsi protetta si traduce di fatto nella concretezza di presentarsi a volto scoperto non solo nelle scuole, ma anche in banca, sugli autobus, negli ambienti in cui si esprime ufficialità. Ecco ricomparire il problema della esclusione sociale.

Inutile in questa sede ripercorrere le tappe storiche che dal 1989 dal 2004 hanno portato alla necessità di esprimere una legge per i paesi europei in materia di velo, che in questi giorni ha portato la Francia e il Belgio al decreto di interdizione dei costumi completi in ambito pubblico, bensì può servire ragionare sul senso del velo, inteso sia come potenzialità espressiva che come minaccia, per capire specialmente quanto conta la opinione pubblica, quanto conta la politica e quanto contano i mass media nella trasmissione di idee culturalmente e socialmente compatibili con la necessità di un popolo, quello europeo, sempre più multietnico, che ha diritto, e questo è certo un fatto indiscutibile, a vivere con serenità la propria esistenza, indipendentemente dalla cultura, dalla religione e dalla etnia che esprime.

Inutile cavalcare i cavalli di battaglia della incostituzionalità dei divieti, poco produttivo tirare in ballo la Carta della Indipendenza, la Rivoluzione Francesce, i principi della Costituzione, se i primi a essere violati sono i principi dei Diritti Umani che sono universalmente riconosciuti e validi per qualsiasi persona, dalla più misera alla più facoltosa, dalla più prodiga alla più delinquente che possa essere descritta.

Di Martina Cecco
Spunti di informazione:

1. a et b France Soir, mardi 10 octobre 1989, « Quand je suis entrée en classe tout le monde m’a regardée ».

2. a Le Parisien, mardi 10 octobre 1989, « Leila, Fatima et Samira iront à l’école en tchador »

3. a et b L’Humanité, jeudi 5 octobre 1989, « Le foulard de Fatima ».

4. a Pierre Bernard a été condamné en 1989 et 1991 pour discrimination raciale après avoir refusé pendant de longues années d’inscrire des enfants immigrés dans “ses” écoles municipales. Le MRAP sera à l’origine des deux plaintes. Cf. Montfermeil, ville-laboratoire de la droite extrême, Informations Syndicales et Antifascistes, juillet 2006.

5. Le Monde France – Cronaca Politica – Articoli selezionati mese di Giugno 2004 30/31 Marzo 2010 e 2 aprile 2010

6. BBC News – Obama e Sarkozy – sul divieto di portare il velo in Europa 2 Aprile 2010

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