La cultura soffocante del politicamente corretto

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C’è una costante in quasi tutte le università d’élite del mondo anglofono moderno: la cultura del politicamente corretto o PC (political correctness), come viene comunemente chiamato in inglese. Che cos’è il politicamente corretto? La definizione corrente è l’intenzione di rimuovere alla radice ogni parola e/o pensiero che possa urtare i sentimenti delle altre persone, specialmente delle cosiddette minoranze etniche o religiose. Fin qui ognuno di noi si potrebbe anche trovare d’accordo con l’ideologia del politicamente corretto, vista la necessità di una convivenza pacifica all’interno di
un ambiente universitario molto internazionale con ragazzi e ragazze proveniente da ogni tipo cultura e con ogni genere di confessione religiosa.

Ma il politicamente corretto è molto più di questo perché, in realtà, esso è una costante e deliberata censura del libero pensiero il cui fine è incoraggiare solo ciò che piace alla cultura dominante nell’università e, viceversa, bandire tutto il resto. La cultura prevalente nelle migliori università anglofone al momento è quella liberal, nel senso americano del termine, ovvero di un pensiero progressista ed egualitario. Laddove il pensiero conservatore vuole mantenere alcuni valori tradizionali, come l’esistenza di un genere sessuale ben definito maschio/femmina e fissato biologicamente, i liberal favoriscono un cambiamento di questo concetto in maniera fluida: il gender può essere determinato da ognuno di noi a seconda dei nostri sentimenti. Il pensiero liberal si adopera alacremente per promulgare questa sua visione del mondo tramite il politicamente corretto. Facciamo un esempio pratico che mi riguarda da vicino, avendolo vissuto in prima persona. Ogni anno gli studenti dell’Università di Oxford devono sottoporsi a un sexual consent workshop, ovvero a un seminario sul consenso sessuale che mette in chiaro alcuni concetti riguardo alle relazioni sessuali in un ambiente universitario. Il workshop è interamente gestito da studenti in qualità di supervisori, come il mio caso, che a loro volta hanno partecipato al workshop precedente come ascoltatori. Questo incoraggia i ragazzi e le ragazze a non provare vergogna nel parlare di certe tematiche dato che la discussione avviene tra coetanei. L’obiettivo del workshop è certamente condivisibile, ovvero prevenire pratiche sessuali scorrette, come casi di violenza sessuali, pressioni e stalking tra studenti.

Eppure, c’è un dettaglio molto importante che getta una luce sinistra su un aspetto particolare del workshop e che ci fa capire come il PC sia il braccio armato del pensiero liberal. Prima di iniziare il workshop viene esplicitamente ordinato ai supervisori di chiedere ai partecipanti quale ‘pronome’ vogliono che si utilizzi per riferirsi a loro in modo da non urtare i loro sentimenti e di creare uno spazio inclusivo. Ci sono tre scelte: he/him (egli/lui), she/her(ella/lei), they/them (loro). Ognuno di noi può liberamente scegliere quale pronome ci contraddistingue di più, indipendentemente dal sesso che biologicamente ci contraddistingue. Se io (ragazzo) mi identifico come un ragazzo sceglierò he/him, se mi sento invece una ragazza she/her e, invece, se scelgo di non rivelare il mio genere o se mi identifico come entrambi i sessi sceglierò they/them. Il particolare da notare è che non posso scegliere di non scegliere, ad esempio sostenendo che il genere è qualcosa di biologicamente definito e cioè che un maschio è un maschio anche se si sente qualcos’altro, per due ragioni. La prima è che il workshop stesso è costruito attorno alla scelta di genere. Gli esempi che sono discussi nel workshop stesso e che riguardano casi di violenza sessuale, come un bacio non desiderato, attenzioni non richieste da parte di un tutor dell’università e un rapporto sessuale forzato, sono progettati in modo tale che non si possa capire il genere biologico dell’individuo in questione.

Mettere in discussione il genere vanificherebbe l’intero workshop. Il secondo, invece, riguarda la psicologia di gruppo. Chi fra noi vorrebbe condurre un dibattito sul gender in una stanza in cui la stragrande maggioranza accetta la teoria liberal sul gender e rigetta a priori tutto ciò che non è in linea con il pensiero liberal e progressista? Ben poche persone avrebbero la forza psicologica di fare un dibattito del genere anche perché farebbe perdere di vista la finalità del workshop, ovvero scoraggiare certe pratiche sessuali negative.

A mio modo di vedere questi due aspetti dimostrano come il politicamente corretto sia in realtà il braccio armato del pensiero liberal congegnato per silenziare qualunque tipo di opposizione. Infatti, con la scusa di non urtare i sentimenti altrui e di creare uno spazio inclusivo il PC silenziosamente introduce delle categorie di pensiero liberal, come la teoria gender, come se queste fossero accettate da tutti. Il fatto che queste non lo siano, ma che a dispetto di questo i cosiddetti ‘dissidenti’ non possano protestare mostra come il politicamente corretto contribuisca alla creazione di una cultura soffocante in cui non si può esprimere il proprio dissenso.

Di Mattia Sisti mutuato da: Atlantico quotidiano

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