La storia delle commissioni d’indagine negli ultimi trent’anni di vita parlamentare italiana conferma il vecchio motto secondo cui essere buoni profeti è facile: per azzeccare i pronostici, basta prevedere il peggio.
Sarà dura per la neonata commissione sulle banche (di cui ho l’onore di fare parte) discostarsi da quella sequenza di insuccessi. Il ritardo con cui è stata istituita, la presenza simultanea di insabbiatori e urlatori (gli uni funzionali agli altri, e viceversa, più di quanto si immagini), e l’incombere della campagna elettorale, sono tutti fattori che fanno presagire un cammino in salita.
Devo ringraziare La Verità che ha deciso di proporre ai suoi lettori un diario settimanale della commissione “vista da dentro”. Cercherò di raccontare quel che accade, di proporre idee positive e praticabili, e soprattutto di tenere un faro acceso sull’uso che si sta facendo del denaro dei contribuenti.
Parliamoci chiaro: chi scrive (insieme a una non vasta minoranza parlamentare) si è sempre schierato contro l’uso di soldi pubblici per porre rimedio alle crisi bancarie. Siccome però ampie maggioranze, con il concorso (purtroppo) di pezzi di opposizione hanno mesi fa deciso il contrario, ora mi sembra almeno doveroso capire cosa stia accadendo. Non solo indagare sui misfatti del passato, dunque, ma anche chiarire cosa stia succedendo adesso: quel denaro degli italiani lo si sta usando bene?
Intanto, una rapida mini-cronaca della prima vera seduta della commissione, quella in cui si è adottato il regolamento, cioè il pacchetto di regole procedurali con cui i quaranta membri dovranno lavorare. Niente di sensazionale, siamo solo ai primi minuti della partita: anche perché la bozza inizialmente proposta non si distaccava dai tipici regolamenti delle commissioni d’inchiesta del passato. Eppure, anche nella breve seduta in cui si sono esaminate una quarantina di proposte emendative, si sono colti dei segnali significativi, non proprio rassicuranti.
Da una parte, un certo dilettantismo dei grillini, che hanno perfino presentato (senza rendersene conto: abbiamo dovuto spiegarglielo!) emendamenti che avrebbero dilatato i poteri della maggioranza a scapito delle minoranze. Dall’altra parte, una netta chiusura da parte del Pd (costantemente spalleggiato da Forza Italia…) anche a richieste emendative minime, ragionevoli, sostanzialmente accoglibili (presentate da varie forze: Meloni, grillini, sinistra), volte ad esempio a rendere più motivata e meno discrezionale l’apposizione del segreto in alcune fasi dei lavori, o ad abolire la norma che attribuirebbe al presidente il potere di valutare l’ammissibilità delle domande che i commissari rivolgono agli auditi. Ripeto: nessuno scontro drammatico (ci sarà modo di dare battaglia su ben altro che qualche dettaglio procedurale), però faceva effetto vedere subito questa corrispondenza d’amorosi sensi tra renziani e forzisti. Speriamo sia stata una circostanza casuale e momentanea.
Di Daniele Capezzone (per gentile concessione del quotidiano La Verità